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fogueres

"Nel fango del Dio Pallone" - Carlo Petrini

Messaggi raccomandati

Estratto dal libro:

 

http://www.magliarossonera.it/img_pubblic/nelfangodeldiopallone.pdf

 

 

 

 

 

 

Un bel pò di schifo ma anche un modo per capire chi sono una buona parte di quegli stronzi per cui si fanno abbonamenti allo stadio - si mette pay tv- merchandising -scontri allo stadio- liti sul forum ecc Insomma niente di nuovo ma sempre un pugno sullo stomaco. :D:D

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Carlo Petrini non rinuncia ad attaccare

“Soldi, truffe e doping: è il calcio di sempre”

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/28/soldi-truffe-e-doping-il-calcio-di-sempre/180264/

 

 

di RQuotidiano | 28 dicembre 2011

L'ex centravanti di Genoa, Milan, Roma e Bologna è alle prese con una malattia difficile da sconfiggere, ma continua a denunciare i mali del calcio di casa nostra. Tra gli altri, se la prende con personaggi noti - come Mazzola, De Sisti e Borgonovo - che non dicono ciò che sanno

 

 

 

 

Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E’ stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”.

Ieri, abbattuto dalla leucemia se n’è andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”. Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare.

A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non c’è Natale o Epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora”. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.

Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?

Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.

Perché?

I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.

Cosa c’era dentro?

Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.

Perché non vi ribellavate?

Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche.

Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?

Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: “A ragà, forza, fa parte der contratto”. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: “Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn”.

Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.

Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.

Si muore di pallone?

Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno.

Lei insinua.

Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.

Chi ha nascosto tutto?

Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’ farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale.

Di chi parla Petrini?

Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere.

E invece?

Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.

Prova rancore?

A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.

Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.

E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta.

La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.

Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu suicidato.

Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.

La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un’ipotetica ‘prova’ della sua omosessualità.

Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980.

Al contrario. La salvai. Nell’ 80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: “Stai tranquillo, Pedro, calmati”, mi risposero.

Tutta la Juve sapeva?

Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube. Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: “State calmi, vi faccio pareggiare io”. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.

Le è rimasta la possibilità di raccontare.

Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.

E la scrittura?

Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l’ultimo.

Perché?

Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.

Ci sarà tempo?

Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.

di Malcom Pagani e Andrea Scanzi

da Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2011

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mi piacerebbe sapere xchè queste cose, petrini non le ha tirate fuori quando giocava

 

averle tirate fuori molti anni dopo si chiama ipocrisia

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ma infatti è giusto, che nessuno dica niente, se no è ipocrisia, mentre invece quanto continua ad andare avanti è giustezza e verità.

hai letto male, non ho detto che non bisogna tirare fuori il marcio; bisognerebbe avere il coraggio di farlo quando sei in mezzo, troppo comodo farlo dopo

 

x ipotesi, se petrini fosse diventato un dirigente di una grande squadra, avrebbe denunciato il sistema?

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mi piacerebbe sapere xchè queste cose, petrini non le ha tirate fuori quando giocava

 

averle tirate fuori molti anni dopo si chiama ipocrisia

Sono d'accordo.

 

Comunque a me il suo libro è piaciuto, si parla anche di Terni e Ternana.

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a mio avviso uno dei più bei libri sul calcio mai scritti.

 

di petrini mi è piaciuto anche "il calciatore suicidato" sulla morte del calciatore del cosenza denis bergamini

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mi piacerebbe sapere xchè queste cose, petrini non le ha tirate fuori quando giocava

 

averle tirate fuori molti anni dopo si chiama ipocrisia

 

Se non ho capito male lui ha avuto un grande rimorso (che lo ha portato a denunciare tutte queste porcate) quando da latitante (era scappato in Francia e si era rifatto un altra famiglia) è morto il figlio con un tumore al cervello: se leggi il libro capirai che lui non si tira fuori dalla merda, lui si considera parte integrante.

 

 

 

 

 

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/06/15/torna-tuo-figlio-muore.html

 

' TORNA, TUO FIGLIO MUORE'

di WANDA VALLI

15 giugno 1995

GENOVA - "Torna a casa per Diego, lui sta morendo, noi vogliamo che riesca a vederti ancora una volta". Chissà se Carlo Petrini, 47 anni, ex giocatore del Genoa e di altre squadre famose, verrà mai a sapere l' appello disperato della sua famiglia. Dei figli Carlo junior e Barbara, della moglie Bianca. Lui è sparito, dall' Italia e dalla loro vita, sei anni fa. Suo figlio, il più giovane, Diego, 19 anni, anche lui calciatore, è condannato. Un tumore al cervello lo sta uccidendo, in un letto dell' ospedale "Galliera" di Genova. Diego è paralizzato, ma cosciente. Adorava quel padre-idolo, ha voluto seguire la sua strada. Non ce l' ha fatta. La malattia non gli dà più speranza, neppure per un mese di vita, forse solo per qualche giorno. Magari per poche ore. Diego voleva diventare un calciatore, famoso come era stato suo padre, Carlo, alla metà degli anni Sessanta, quando venne a giocare, come attaccante, nel Genoa prima e poi nel Milan, per una sola stagione, nel Torino, nel Verona, nel Bologna. Famoso fino a quando non viene coinvolto nel primo scandalo del calcio scommesse e, nel 1980, è squalificato. Per Carlo Petrini si apre la via del calcio di secondo piano. Insieme al tentativo di azzeccare buoni affari nella vita. Non gli riesce, quest' avventura, e sei anni fa Carlo Petrini se ne va. Fa pardere le sue tracce. Sparisce dall' Italia e dalla vita della sua famiglia, sparisce inseguito dai danni di una vita prima ricca di soddisfazioni poi di guai: una impresa messa su e fallita, un brutto giro di conoscenze. Sparisce nel nulla per Diego e per i fratelli, nessuna telefonata, nessuna lettera, nessun contatto. Così ieri Carlo junior, d' accordo con la famiglia, decide di fargli sapere l' agonia, il dramma di Diego. Anche per vendicarsi di quell' abbandono. Una vendetta amara ma lucida, di cui Diego non sa nulla. Lui sta troppo male, soffre e combatte la sua battaglia senza vittoria. E' una vendetta d' amore che suo fratello Carlino racconta così: "Mio padre? E' uscito di casa, una sera, era il 18 giugno del 1989. Non lo scorderò mai. Se n' è andato e non ho più saputo niente. Era più di un padre per me, per Barbara, per Diego, eravamo amici, amicissimi". Perchè sparisce Carlo Petrini? "Non lo so, me lo sto chiedendo da sei anni", risponde Carlo junior. L' appello, ieri, è rilanciato anche in Svizzera dove forse Carlo Petrini si è rifugiato con la nuova compagna di vita, anche lei genovese, con la bimba che hanno avuto. In Svizzera o magari in Francia o in Sudamerica, in Argentina, se davvero l' ex giocatore temeva per la sua vita. Continua il racconto di Carlino: "Ho cercato in ogni modo di ritrovarlo, anche tramite questa donna. Lei, fino a poco fa, viveva a Genova. Da un anno cerco di fargli sapere che Diego sta male. Ho pregato di informarlo, non credo che papà sappia". Al dramma di un ragazzo condannato a morire si unisce così, sullo sfondo, quello di due famiglie, la prima, ufficiale, l' altra che Carlo Petrini si è creato, negli ultimi anni. Diego Petrini si sente male nell' aprile del 1994, mentre con la Primavera della Sampdoria sta giocando a Monza in trasferta. Sviene, ha convulsioni, viene ricoverato in ospedale, prima a Monza, poi a Genova. Sembra riprendersi, la Samp a fine stagione lo lascia libero, il Pavia lo ingaggia per il 1994-1995. Ma il calvario è già incominciato, Diego sta bene a tratti, fino a dieci giorni fa, quando tutto precipita, quando si decide il ricovero al "Galliera". E' Carlo junior a scegliere di lanciare l' appello: "Non so se papà tornerà, forse non farà in tempo. Non so neppure se per Diego sarebbe un bene. Ma papà deve sapere il nostro calvario, deve sapere che suo figlio ha sofferto per un anno e mezzo da solo, senza di lui". Carlino non ha più comprensione per i guai del padre, non gli importa se ha problemi giudiziari o di altro genere. "Uno i guai se li va a cercare, se dovesse anche finire in carcere non mi interessa. Poteva dispiacermi allora, sei anni fa o quando ho continuato a cercarlo. Ora basta". Un giudizio duro, quasi una condanna senza appello, prima di ringraziare "tutti, per averci capito". Prima di tornare da Diego che, in ospedale, si sta spegnendo.

di WANDA VALLI

15 giugno 1995

 

 

 

 

 

 

http://archiviostorico.corriere.it/1995/giugno/21/addio_della_sorella_Diego_Gioca_co_0_95062113667.shtml

 

 

Il calciatore morto di cancro a 19 anni sperando di rivedere un' ultima volta il padre

L' addio della sorella a Diego: " Gioca in pace lassu' "

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Il calciatore morto di cancro a 19 anni sperando di rivedere un' ultima volta il padre TITOLO: L' addio della sorella a Diego: "Gioca in pace lassu' " - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - LEVANTO (La Spezia) . "Ciao bomber, gioca in pace, lassu' in Paradiso, senza che il tuo corpo soffra il dolore che ha sopportato. Infondi forza alla mamma e ai tuoi fratelli, per continuare a vivere. Non dimenticarci mai". Barbara Petrini, la sorella maggiore, ha salutato cosi' Diego, il calciatore "figlio d' arte", morto di tumore al cervello non ancora ventenne. Prima di andarsene, il ragazzo aveva lanciato un disperato appello al padre Carlo, ex calciatore risucchiato in avventure poco limpide, lontano da moglie e figli da anni senza dare notizie di se' . Gli chiedeva di farsi vivo un' ultima volta: non e' accaduto. Centinaia di persone hanno voluto dare l' estremo saluto a Diego Petrini, al compagno di giochi e di discoteca. Tutti in circolo davanti alla chiesa della SS. Annunziata dei Frati Cappuccini di Levanto, in silenzio, hanno atteso che il feretro arrivasse da Genova. Alle 11 in punto ecco Bianca, la mamma di Diego, il fratello Giancarlo, i nonni materni Gildo e Liana. Ecco la bara coperta di orchidee bianche e viola. Il silenzio diventa mormorio, tanti non trattengono le lacrime. Un' amica dei nonni esclama: "Da un figliolo che ti muore, ci vai anche a rischio della vita. Macche' Padrino mafioso o vice "Mammasantissima" a raccomandarti l' incolumita' . Tutte scuse. Se il padre fosse stato un vero uomo sarebbe accorso al capezzale del ragazzo, magari scortato dai carabinieri". Tanti la pensano cosi' . "In questi momenti e' utile il silenzio . ha detto nell' omelia don Domenico Lavaggi . ma sarebbe bello poter dire: voglio essere qui, soffrire e piangere con te. L' indifferenza e' la peggiore delle debolezze. La forza e' allungare una mano e fare una carezza o donare un sorriso a chi soffre". Allusioni pesanti. "Come sono forti e dignitosi i familiari di Diego . dice l' allenatore di un club di calcio .. Non hanno piu' lacrime. Ma l' Italia dello spettacolo ha dato forfeit. Degli idoli della "pedata nazionale", per dirla alla Gianni Brera, si e' presentato solo Marco Lanna, ex sampdoriano da un paio di campionati alla Roma". Un paio di giovani calciatori in lacrime raccontano ai cronisti: "Abbiamo giocato con Diego nella Berretti e nella Primavera alla Sampdoria. Eravamo quaranta "promesse", ma qui non e' venuto nessuno. Scrivete pure che la nostra societa' ha fatto schifo".

 

Prayer Vittorio

Pagina 11

(21 giugno 1995) - Corriere della Sera

 

 

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Carlo Petrini non rinuncia ad attaccare

Soldi, truffe e doping: è il calcio di sempre

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/28/soldi-truffe-e-doping-il-calcio-di-sempre/180264/

 

 

di RQuotidiano | 28 dicembre 2011

 

L'ex centravanti di Genoa, Milan, Roma e Bologna è alle prese con una malattia difficile da sconfiggere, ma continua a denunciare i mali del calcio di casa nostra. Tra gli altri, se la prende con personaggi noti - come Mazzola, De Sisti e Borgonovo - che non dicono ciò che sanno

 

 

 

 

Gli è rimasto qualche desiderio. Mi piacerebbe bere un caffettino. Ottiene una brodaglia nerastra allungata con lacqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità unillusione e lorizzonte un muro di nebbia. Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche.

Ieri, abbattuto dalla leucemia se nè andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati. Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non cè più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare.

A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non cè Natale o Epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta labbandono di chi un tempo gli fu amico: Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno, un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora. Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.

Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?

Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.

Perché?

I miei errori iniziarono a metà dei 60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dellInter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.

Cosa cera dentro?

Mai saputo. Lanno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.

Perché non vi ribellavate?

Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e laltro anche.

Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?

Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: A ragà, forza, fa parte der contratto. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn.

Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.

Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.

Si muore di pallone?

Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri lanno.

Lei insinua.

Affermo, ma non ho le prove. Nonostante limpegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.

Chi ha nascosto tutto?

Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli aiutini farmacologici o è una lapide con unincisione o recita da vegetale.

Di chi parla Petrini?

Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega levidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non centri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere.

E invece?

Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nellindifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.

Prova rancore?

A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.

Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.

E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ndrangheta.

La ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.

Che è servito per riaprire linchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era lingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, cera chi organizzava traffici di droga. Bergamini era lanello debole e fu suicidato.

Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.

La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva lascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, unipotetica prova della sua omosessualità.

Dica la verità. Lei ce lha con la Juve, fin dal 1980.

Al contrario. La salvai. Nell 80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose laccordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: Stai tranquillo, Pedro, calmati, mi risposero.

Tutta la Juve sapeva?

Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube. Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: State calmi, vi faccio pareggiare io. La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.

Le è rimasta la possibilità di raccontare.

Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se lera presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.

E la scrittura?

Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà lultimo.

Perché?

Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.

Ci sarà tempo?

Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.

di Malcom Pagani e Andrea Scanzi

da Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2011

. Allucinante

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