Vengo a conoscenza solo ora di questo meraviglioso topic, sto a piagne da lu ride, e a questo punto mi sento in dovere di condividere con voi una mia esperienza tragicomica che mi ricorda la scena del cesso di Trainspotting.
Gita di quinto superiore, la meta era Atene. La situazione iniziò ad essere grottesca a partire dalla scelta del mezzo di trasporto: nonostante le pressanti richieste di viaggiare in aereo, un professore si impuntò ed affermò “No, viaggeremo in nave, è più caratteristico e divertente”. Risultato, considerato anche il trasferimento in pullman fino ad Ancona, un viaggio di 27 ore (2 ore di autobus fino ad Ancona, 23 ore di traghetto fino a Patrasso, altre due ore di pullman da Patrasso ad Atene). Era già chiaro che sarebbe finita malissimo.
Giorno della partenza: metà aprile, tutti belli carichi e massicci, con le felpe fatte appositamente per la gita tutte uguali. Fino ad Ancona tutto alla perfezione, ma al momento di scendere dal pulmann iniziarono, letteralmente, li dolori. Pe fa lo spanizzo davanti alle mejo picchie, calai giù in maniche corte e come misi piede a terra sentii la brezza marina che come un coltello affilato iniziò a trafiggermi la pancia causando istantanei dolori lancinanti, e sul momento pensai dentro di me :”Vabbè dai, non ho fatto colazione, sarà sicuramente per quello”. Decisi così di ingurgitarmi un tragico panino con la cotoletta, che probabilmente stava sul bancone da una settimana, ma vista la situazione era il panino più buono del mondo. Lì per lì la soluzione sembrò funzionare, avevo messo un tappo al buco creato dal venticello fresco. Questo fino a 10 minuti prima dell’imbarco, quando, la situazione precipitò all’improvviso: io, svejo com’ero, ero rimasto in maniche corte, tanto ormai sembrava tutto risolto. Un cazzo. Il vento iniziò a tirare sempre più forte, la panza me se scopriva ogni 10 secondi, se prima erano coltellate affilate adesso erano colpi de roncola, de machete, una roba allucinante. In tempo zero diventai più bianco de la schiuma del mare che si infrangeva sul molo del porto, iniziai a sudà freddo e faticai a rimanè eretto.
Dopo ave scambiato 4 chiacchiere con San Gregorio armeno, finalmente, riuscimmo a imbarcarci, e ci furono assegnate le cabine. La prima cosa che ci disse il capitano, però, me mise i brividi:” Se dovete andare al bagno mi raccomando, assicuratevi di scaricare bene, e non buttate assolutamente la carta igienica nel water, perché se otturate il vostro bagno, si otturano anche tutti gli altri della nave e diventano inagibili fini a fine viaggio”. Panico totale. Come je spiegavo che dentro covavo un tronco de cerqua co tutte le janne? Non feci a tempo a elaborare una soluzione che le radici de lu tronco iniziarono a espandersi trovando terreno fertile, così corsi in cabina e, senza pensare alle conseguenze, me liberai in una botta sola del sempreverde. SPLOF. Fu una goduria pazzesca, un attimo di gloria irrazionale, un viaggio onirico. A riportarmi sulla terra ci pensò lo sciacquone, che invano provai a premere più e più volte. Niente. Il Titanic non si decideva ad affondare e scomparire nell’oblio, era rimasto spezzato mezzo dentro e mezzo fori dall’acqua. Avevo otturato il bagno.
A quel punto realizzai il dramma e caddi nello sconforto più totale: mancavano 22 ore e mezza di viaggio, e avevo reso inagibili tutti i bagni della nave. In pratica oltre mille persone, per quasi un giorno, non avrebbero potuto espletare le loro funzioni fisiologiche. Ma proprio quando ero sull’orlo del baratro, fu lì che notai una bustina di plastica, e, sull’orlo della disperazione, a mani nude, raccolsi il relitto del Titanic e lo misi dentro alla busta. Ma ancora non era sufficiente. Allora presi coraggio e uscii dalla cabina praticamente in mutande co sta busta nauseabonda sulle mani, iniziai a girare per la nave tra il disgusto generale e al primo secchio ce la buttai dentro con più forza di una schiacciata di Shaquille O’ Neal ai tempi dei Lakers. Inutile dire che nessuno si accostò a quel cestino per il resto del tragitto. Ma poco importava. Tornai di corsa in cabina e premetti di nuovo, con foga, lo sciacquone. Ce l’avevo fatta, l’acqua inizio a scendere giù che era un piacere, e la parte rimasta sommersa sparì per sempre. Una doccia rigenerante me ripulì completamente.
Fu lì che capii per la prima volta che di fronte all’istinto di sopravvivenza, non c’è situazione di merda che regga.