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Viciani

Stella vs Longarini

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Interessante articolo di Gian Antonio Stella su Edoardo Longarini sul Corriere della Sera di oggi.

Non riguarda la Ternana e di sicuro non piacerà a Longarini.

Vale comunque la pena leggerlo.

Appena possibile lo si posti!

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DAJE!!!!!!!

1425706[/snapback]

ma che daje....quistu c'ha una quantità industriale de "santi in paradiso"...

PS: c'ho lo scanner rotto sennò postavo l'articolo

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ma ke è il corsera il corrieire della sera?

1426278[/snapback]

 

No, è il Corsera Noro, noto filibustiere marchiciano...

 

Zio Edo

 

:lol::lol::lol:

 

Scherzi a parte, non è neanche la prima volta che Stella si dedica in un modo o nell'altro allo Zio Edo...

 

La porta di dietro e i suoi misteri

 

«Mannaggia cavallina, je scappa sempre la parolina» , ridono ora i nemici.

Fanno il verso a una vecchia pubblicità. Sempre, no. Ma è vero che ad Antonio Fazio, il governatore della Banca d’Italia, capita ogni tanto, se crede di non essere sentito, di lasciarsi sfuggire cose da mordersi la lingua. Come il giorno in cui si fece beccare dalle telecamere mentre suggeriva alla scorta il modo di liberarsi di Valerio Staffelli, che gli voleva consegnare un tapiro per lo scandalo Cirio: «Dategli un po’ di botte, così se ne va». Un consiglio non proprio francescano, per un uomo che in un solo discorso, anni fa, riuscì a citare, dalla «Centesimus annus» alla «Fides et ratio», sei encicliche papali. Gli scivoloni dei primi di luglio, quando si è fatto intercettare mentre scambiava effusioni con Gianpiero Fiorani, rischia però di essergli assai più nociva della richiesta di croccare l’inviato di «Striscia». E non solo per la telefonata notturna rivelata ieri sul Giornale da Gianluigi Nuzzi e un po’ troppo coccola per un rapporto tra controllore e controllato («ho messo la firma», «ti bacerei in fronte») ma anche per la raccomandazione che il sommo banchiere rivolge al protetto invitandolo a via Nazionale: «Passa come al solito... dal dietro... dietro di là». Un messaggio che, più che a un trasparente appuntamento istituzionale, somiglia alle consegne della monaca di Monza all’amante Egidio.

 

Nessuno stupore. La storia della politica e dell’economia italiane è ricca di rendez-vous clandestini più che un polpettone romanzesco dell’Ottocento. E se alcuni erano una questione di amore e sesso dai risvolti politici, come nel caso di Claretta Petacci che raggiungeva il suo «Ben» (così lo chiamava) da un’entrata laterale di Palazzo Venezia o di Nilde Iotti che per un po’, come raccontò Marcella Ferrara, fu tenuta a vivere dal partito «in due stanzine al sesto piano, caldissime d’estate e freddissime d’inverno» perché non desse scandalo ai bigotti, altri sono stati momenti di passaggio importanti nella storia del Paese.

 

Dalle porticine laterali sono entrati per anni negli uffici ministeriali romani uomini come Giuseppe Ciarrapico, che avrebbe mostrato di essere disposto a fare affari con tutti senza puzze sotto il naso («gli ideali sono una cosa, la politica un’altra») ma mentre frequentava Andreotti andava a dire in giro di essere fascista fedelissimo ai raduni di Predappio in anni in cui questo era ancora un marchio. O Edoardo Longarini, il costruttore che i nemici chiamavano per la raffinatezza «Al Cafone», il quale faceva pagare le sue opere anche sette volte più del dovuto ma era così introdotto tra i dicì marchigiani e non solo che un giorno riuscì a far approvare due righine (che davano a lui togliendoli all’Anas i lavori per l’«asse attrezzato» di Ancona) infilate in un decreto sullo smaltimento delle arance invendute in Sicilia. Per non dire di Raul Gardini che, stando alle inchieste, entrava da certi ingressi secondari se era in visita d’affari, con la valigetta dei soldi.

 

Indimenticabili, per chi ebbe la sorte di organizzarli, furono almeno tre incontri segreti. Il primo, programmato tra mille depistaggi in una casa romana che aveva due ingressi su due strade diverse, fu quello tra Enrico Berlinguer e Indro Montanelli: «Gli dissi: segretario, dobbiamo stare all’erta perché, se vengono a saperlo i suoi elettori e i miei lettori, ci fanno a pezzi». Il secondo quello tra Gherardo Colombo e Giuliano Turone, i giudici istruttori che avevano in mano le liste della P2 e, chiamati da Sandro Pertini in Quirinale, furono fatti entrare per un ingresso laterale e da lì accompagnati di stanza in stanza, senza una parola, fino a una specie di sgabuzzino dove il presidente, convinto d’essere circondato da microspie, finalmente disse: «Bene, qui possiamo parlare». Il terzo, ancora una questione di magistrati: solo che stavolta i giudici Guarnotta, De Marco e Sgadari e i pm Gozzo e Ingroia, impegnati nel processo a Marcello Dell’Utri, erano venuti a Roma per interrogare Berlusconi: una incursione a Palazzo Chigi tutta top secret. Ingresso e uscita da una anonima porticina secondaria.

 

Niente, però, può eguagliare un paio di storie sui retrobottega siciliani. Una la raccontano Saverio Lodato e Marco Travaglio nel libro «Gli Intoccabili»: pedinando Michele Aiello (re delle cliniche siciliane sospettato di legami con Provenzano) gli investigatori lo vedono entrare in un negozio d’abbigliamento di Bagheria: «Poco dopo entra anche il governatore Totò Cuffaro che, seminata la scorta, è venuto da Palermo per incontrarlo in gran segreto. I due si appartano furtivamente nel retrobottega e lì Cuffaro avverte Aiello che la Procura sta indagando su di lui e lo sta intercettando. Alla fine, per crearsi un alibi, Totò acquista pure alcuni abiti per i figli...». L’altra storia, entrata nella leggenda, è quella di Ignazio e Nino Salvo, i potentissimi esattori palermitani. Tutti, non solo i dicì, tenevano rapporti con loro. Via via che montavano le accuse di rapporti ambigui con la mafia, i due cugini presero tuttavia ad essere sempre più ingombranti. Sapete allora come presero a incontrare gli ospiti che non potevano farsi vedere? Li invitavano alla sede della loro società, un ex convento francescano di via del Parlamento, facendoli passare da una porta cui si accedeva dalla vicina chiesa. Ogni incontro, un «pateravegloria».

 

Gian Antonio Stella

27 luglio 2005

 

E spuntò il comma «Villa Certosa»

 

Nel mega-super-maxi-giga-emendamento alla Finanziaria su cui il governo ha messo la fiducia, tra un aiutino al calcio femminile, la celebrazione di Colombo e l' autofatturazione del tartufo, c' è un comma apparentemente imperscrutabile come un' incisione runica o il Disco di Festo. E dietro il quale, sorpresa, gli intenditori avrebbero scovato un ritocco che pare proprio ad personam: il via libera ai servizi segreti per i lavori edilizi alla Certosa, la villa sarda di Silvio Berlusconi. Cosa c' entra con la Finanziaria? Niente. Ma l' inserimento di cose «eccentriche» nella legge-base delle pubbliche casse non è una novità. Spiegò un giorno l' allora ministro del Tesoro Giuliano Amato che «l' enfasi mitica che accompagna ha una spiegazione precisa: è l' unica legge ad approvazione certa da parte delle Camere. L' ultimo treno per Yuma. Dove chi non sale rischia di restare definitivamente a terra. Di qui le mille spinte per infilarci di tutto». Dai soldi per il lago di Pergusa («il lago di Proserpina!») alla sagra del Polpo, dal carnevale di Putignano alla mozzarella doc, «formaggio fresco a pasta filata prodotto con latte bufalino». Lobby ricche e lobby straccione. Ruotavano personaggi mitici, intorno alle Finanziarie. Come Wilmo Ferrari, detto per l' irruenza «Wilmo la clava». O i protagonisti di memorabili nottate quale quella della scazzottata tra i diccì e il socialista Tommaso Mancia che, passato un comma imposto dallo scudocrociato per le terme in liquidazione, sbottò: «Allora deve passare anche l' aumento dei fondi al Club alpino italiano». «Cos' è, un ricatto?». «No, ma se passa il vostro emendamento deve passare pure il nostro». «Che ti frega, il Cai è socialista?». «No, ma è giusto così». «Sono socialiste le Alpi?». «Guarda che vivo al mare». Insomma, niente di nuovo sotto il sole. Come non è nuova, alla faccia delle promesse prima del centrosinistra e poi del centrodestra di rendere più semplice il linguaggio, la scelta di continuare piuttosto ricordando l' antico monito lasciato nel Settecento da Ludovico Muratori: «Quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare». Detto fatto, tra le 58.538 parole per un totale di 591 commi che compongono il megaemendamento fatto votare l' altro ieri dal governo, prendere o lasciare, si può leggere al punto 245 questo capolavoro a metà tra il sanscrito e il cifrario di Vernam: «All' articolo 24, comma 6, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, dopo le parole: "comma 1-bis" sono aggiunte le seguenti: "e degli organismi di cui agli articoli 3, 4 e 6 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, che sono disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, emanato su proposta del Comitato di cui all' articolo 2 della citata legge n. 801 del 1977, previa intesa con il Ministro dell' economia e delle finanze"». In pratica, spiegano gli specialisti, si tratta di un «ritocco», proposto inizialmente con l' emendamento 35.158 da due senatori azzurri, Aldo Scarabosio e Mario Francesco Ferrara, alla «Merloni». La legge voluta nel 1994 dall' allora premier Carlo Azeglio Ciampi e dal ministro dei Lavori pubblici Francesco Merloni per rendere trasparenti gli appalti pubblici, che avevano visto l' esplodere di scandali indimenticabili. Quale quello del costruttore Edoardo Longarini, che secondo la Corte dei conti era arrivato ad applicare per gli scavi sovrapprezzi del 156% (fondazione sotto i 2 metri), 258% (sbancamento) e addirittura 477 (fondazione da 0 a 2 metri) per cento. Diceva, dunque, la «Merloni» che per i lavori pubblici sono obbligatorie le gare europee, aperte e trasparenti, salvo rare e precise eccezioni. Dice la leggina fatta passare nel megaemendamento che, a quelle rare e precise eccezioni, vanno aggiunte quelle che toccano gli «organismi di cui agli articoli 3, 4 e 6 della legge 24 ottobre 1977, n. 801», vale a dire il Cesis, il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, il Sismi, cioè il Servizio informazioni sicurezza militare, e il Sisde, cioè il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica. I quali, per quel che se ne sa, avevano già manifestato qualche insofferenza per la «Merloni» e hanno avuto a che fare negli ultimi tempi con vari lavori di edilizia pubblica (caserme, postazioni, infrastrutture varie...) ma uno solo nella proprietà privata di un cittadino, sia pure speciale: Villa Certosa a Portorotondo. Dove oltre alle cinque piscine della talassoterapia (costruite abusivamente, descritte, fotografate e pubblicate in un libro prima della firma delle licenze), al lifting di una cabina elettrica diventata un finto nuraghe con vetrate trasparenti sul mare che «con un semplice scatto d' interruttore si polarizzano per garantire la massima privacy» e all' anfiteatro che miracolosamente ottenne il via libera della Regione allora forzista addirittura 56 giorni prima che fosse presentata la domanda (wow!), è stato appunto scavato nella tutelatissima roccia il celeberrimo imbarcadero stile 007. Imbarcadero sul quale la magistratura di Tempio Pausania ha aperto un' inchiesta. Subito arginata, prima ancora di una contestatissima aggiustatina al decreto delega sull' ambiente e del comma di cui parliamo che potrebbe chiudere la faccenda, da due decreti varati ai primi di maggio da Pietro Lunardi e Beppe Pisanu, coi quali si dichiaravano tutti i lavori (non si è mai capito se era compreso, ad esempio, il «capanno di cantiere riattato a bungalow per gli ospiti» di cui scrive l' architetto) assolutamente top secret. Al punto che perfino i decreti, in mano agli avvocati del Cavaliere, vennero solo mostrati al Pm. Guardare e non toccare. Una scelta che destò perplessità. E qualche risatina: la mappa segretissima del posto, con tutti i dettagli comprese le altimetrie, era infatti pubblicata a pagina 232 del libro che della Certosa descrive le meraviglie. Top secret all' italiana. Gian Antonio Stella

 

Stella Gian Antonio,

Pagina 001.008

(17 dicembre 2004) - Corriere della Sera

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