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da Sportpeople.net

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da Sportpeople.net Anno 6 Numero 29 16 0ttobre 2009

 

Vi giro un articolo molto interessante pubblicato su sportpeople http://www.sportpeople.net/SportPeople29-2009.pdf

 

Editoriale: Chi non terrorizza...

Si respira un insolito clima di terrore in

Italia, un terrore più artefatto che reale, un

terrore psicologico col quale stanno

facendo ammalare la gente impaurendola

e fomentandola a caccia delle streghe più

varie.

Creato il giusto clima di delirio sociale e

sociologico, stanno appropinquandosi ad

infilare supposte sempre più grandi nel

deretano del popolo (apparentemente)

sovrano e, nel nome della tanto

sbandierata sicurezza, lo stanno privando

man mano della libertà, poi del proprio

potere più di quanto la delega del voto già

faccia, poi degli spazi, poi della voce, poi

delle idee, poi dell’identità fino a privarlo di

ogni barlume di speranza e di quel minimo

che sia degno di essere definito “vita” e

che sia davvero tale, oltre il ciarpame

tecnologico, televisivo e materiale in

genere, col quale rimpinzano le nostre

esistenze per illuderci che siano vere e

non già scritte e decise da loro, dall’alto.

Hanno iniziato a schedare gli zingari e a

nessuno interessava. Hanno continuato

prendendosela con i lavavetri e i writers e

nemmeno in quel caso interessava. Poi è

stata la volta dei manifestanti al G8, poi

quelli contro le discariche, poi addirittura i

cortei di pensionati e invalidi manganellati

e mai nessuno che dice niente perché

crede di non esserne coinvolto.

Il cancro però continua ad avanzare e si

sta mangiando tutto: non chiudiamo gli

occhi, spegniamo le loro tv e

riaccendiamo i cervelli e la rabbia

popolare. Sì, popolare, perché non è una

guerra di “rossi” o “neri” ma di chi

comanda e chi il potere lo subisce sempre

più spesso, sempre più ingiustamente.

Questa che segue è una storia successa

sei mesi fa che un amico ha trovato la

voglia e il coraggio di raccontare e a cui

noi diamo orgogliosamente voce: non

perdiamo mai la capacità di indignarci,

non facciamoci ghettizzare, smettiamo le

nostre stupide guerre tra pidocchiosi,

continuiamo a perseguire quella strada

intrapresa dopo la morte di Gabbo che ci

ha fatti riscoprire nella nostra essenza

comune di ultras, di giovani sulle stesse

strade, di cittadini con gli stessi problemi e

riprendiamoci gli stadi e le nostre vite.

Giustizia per i 38 di Cagliari e basta allo

Stato dittatoriale di Polizia!

 

Liberi Pensieri: Giustizia per i 38 di Cagliari

 

Sono passati sei mesi da quel 5 aprile

2009, il giorno della famosa "scolaresca di

Messina aggredita dagli Sconvolts". Ed È

giusto ritornare su quei fatti...

Quella domenica si giocava Cagliari-

Catania, con due tifoserie con rapporti

"non molto chiari". Dalla nave proveniente

da Civitavecchia, verso le dieci scende un

gruppo di ragazzi, una quindicina circa.

Vengono fermati all'esterno del porto e

affermano con tono provocatorio di essere

siciliani. Poco dopo qualcuno di loro,

senza che fosse stato intimorito, mostra la

carta d'identità per dimostrare di essere di

Messina. Parlando tranquillamente con i

ragazzi cagliaritani, affermano che stanno

facendo il tirocinio nella Grimaldi (non si

ricordano neanche che la loro nave è la

Tirrenia, dato che a Cagliari non opera la

compagnia napoletana) e di volersi recare

nella curva cagliaritana, visto il loro forte

odio verso la tifoseria catanese. I

cagliaritani li invitano a lasciar perdere

perché non è proprio il caso, e si allontano

senza che nessuno li abbia mai toccati. Il

gruppo di messinesi, incuranti dei consigli,

gira indisturbato nella zona del porto,

ripensando forse al desiderio di vedere la

partita dalla curva Nord e finisce che,

verso le undici, incontrano qualcuno di

sbagliato. C'è una rapidissima

colluttazione sinché gli studenti scappano

rifugiandosi dentro una libreria di Via

Roma. Qui parlano con qualcuno degli

inseguitori, viene a galla l'incomprensione,

ci si scusa a vicenda e tutto sembra

tornato alla normalità.

Più tardi, i tifosi cagliaritani iniziano ad

arrivare allo stadio, probabilmente

inconsapevoli di quanto successo in città

due ore prima. I primi ad arrivare sono

trentotto persone che vengono

immediatamente circondate da otto

camionette, dalle quali scendono un

centinaio di uomini tra poliziotti, carabinieri

e finanzieri. Parte una specie di

rastrellamento. Tutti i presenti (tra i quali

anche tifosi non ultras che scendevano

dalle macchine appena parcheggiate, che

aspettavano il panino nei chioschi, ecc.)

vengono spinti in un angolo. I dirigenti

della Questura e della Digos prendono i

documenti ai presenti e, tutti in tenuta

antisommossa con il manganello ben

pronto, spingono i trentotto increduli…

…all'interno delle camionette, senza dare

nessuna spiegazione.

Sono le ore 13 di domenica e le

camionette corrono a sirene spiegate in

Questura.

Intorno alle ore 14, nei parcheggi interni di

Via Amat, il gruppo di cagliaritani viene

fatto schierare davanti al palazzo. Un

poliziotto in borghese passa davanti ai

ragazzi in fila e chiede il nome a cinque

persone. Il tutto risulta quasi comico se

non fosse così assurdo: dovrebbe essere

un riconoscimento ma il poliziotto non ha

né auricolare né cellulare e sorge il

sospetto che chieda i nomi a caso in una

sorta di strategia del terrore. Qualcuno dei

presenti, di nascosto dato che è stato

vietato l'uso dei cellulari, chiama

l'avvocato. I legali accorsi vengono

mandati via dal Vice Questore Vicario, in

quanto nessuno dei ragazzi è in stato di

fermo ma si sta solo svolgendo

un'identificazione.

Intanto, intorno allo stadio continuano a

girare le camionette che cercano, con le

porte aperte, non si sa bene chi o cosa.

Sicuramente non hanno trovato niente,

dato che nessun altro è stato portato in

Questura.

La polizia sfonda la porta della sede degli

Sconvolts e la perquisisce alla ricerca di

bombe, catene, spranghe e bastoni.

Ovviamente fanno un buco nell'acqua e

trovano solo aste di bandiera, oggetto

normalissimo per un tifoso.

In Questura, appena finisce la partita,

viene effettuato un secondo

riconoscimento: i trentotto presenti si

trovano di nuovo in fila nel piazzale, con il

solito poliziotto in borghese, questa volta

munito di cellulare, che passa lentamente

davanti al gruppo fermandosi di tanto in

tanto a chiedere al malcapitato di turno le

generalità. Questa volta ci sono i ragazzi

di Messina affacciati alle finestre del terzo

piano della Questura, che indicano i

ragazzi riconosciuti tra i presenti

all'aggressione. Come sia possibile farlo

con certezza a circa venti metri di altezza,

con i ragazzi cagliaritani a più di cento

metri più avanti, resta ancora un mistero.

Ogni "riconoscimento" dura una decina di

minuti e se ne conteranno altri tre. Poi i

trentotto cagliaritani vengono fatti salire

cinque alla volta in un ufficio per sottoporsi

al famoso rito dello "specchio magico".

Tale rito consiste nel far passare dietro un

vetro i "presunti" responsabili della…

…aggressione ma, contrariamente a

quanto dovrebbe avvenire, non ci sono

avvocati della difesa a controllo, non ci

sono persone con similitudini fisiche e

fisionomiche a quelle degli accusati e ad

essi mischiati, in modo da testare

l’assoluta certezza del riconoscimento. Il

classico "riconoscimento all'italiana"

insomma, degno del più tragicomico dei

film. Una volta che tutti i trentotto hanno

terminato questo folle rito, vengono fatti

risalire sulle camionette con direzione

ignota. Si pensa che la destinazione sia il

carcere di Buoncammino, ma le

camionette si fermano poche centinaia di

metri prima, negli uffici della Digos di

Cagliari.

Sono le ore 19. Qui viene cercato un

telefono cellulare tra i presenti che, a

quanto pare, sarebbe stato rubato a una

delle persone aggredite. Negli uffici della

Digos inizia una ulteriore procedura di

identificazione, ovvero impronte digitali e

foto segnaletiche per tutti, due alla volta.

Qualcuno, di nascosto, riesce a usare

ancora il cellulare per chiamare "fuori" e si

scopre così che il Vice Questore Vicario

ha già tenuto una conferenza stampa

affermando che i responsabili

sono stati presi e saranno tutti e trentotto

arrestati. Si possono quindi facilmente

immaginare gli stati d'animo negli uffici

della Digos...

L'identificazione dei trentotto ragazzi

finisce alle 22, quando vengono fatti salire

sulle camionette. La destinazione non è

però il vicino carcere, ma nuovamente la

Questura. Alle ore 23.30 i primi ragazzi

tornano in libertà . Vengono restituiti a tutti

i documenti e consegnato un foglio.

A quanto si legge, erano stati portati in

questura perché, ad un normale controllo

di ordine pubblico, si erano rifiutati di dare

le generalità, oppure queste erano da

ritenersi false, quando invece l’unica cosa

falsa è proprio tale accusa.

Gli ultimi ragazzi escono quando si sta per

arrivare alle ore 01, dopo cioè dodici ore,

stremati da quest'incubo infinito.

Intanto alla tv fioccano le "notizie". Si parla

di "invasati che danno pugni gratuiti, 40

delinquenti con volti coperti da sciarpe e

cappucci, che hanno aggredito una

scolaresca in gita in città, con spranghe,

catene e bastoni, che hanno cercato di

investirli con uno scooter, lasciando a

terra un professore con gravi problemi

cardiaci e rubando a quest'ultimo pure il…

…telefono cellulare".

Il giorno dopo le notizie si sprecano, con i

giornali che titolano a caratteri cubitali "38

arrestati" salvo far retromarcia il giorno

seguente, scrivendo in un minuscolo

trafiletto "il giudice non ha consentito agli

arresti per mancanza di prove e il telefono

cellulare, che si pensava rubato, risulta

effettivamente di proprietà del ragazzo

accusato".

Intanto i ragazzi messinesi, che dopo

mezz'ora dall'aggressione si stavano

facendo intervistare dalle televisioni sarde

senza nessuna lesione apparente (come

si può verificare anche in un video messo

subito su Youtube, dal titolo "Aggressione

scolaresca siciliana 5 aprile 2009"),

riprendono la nave di domenica sera,

mentre il professore parte il giorno dopo. Il

tutto a dimostrare quanto (davvero poco)

gravi fossero le ferite. Quantomeno

strano, visto che quindici persone

sarebbero state aggredite da quaranta,

armate di spranghe, catene e bastoni...

Mercoledì 8 aprile, a ventisette dei

trentotto fermati arrivano le diffide, tutte

per tre anni. Sono stati tutti riconosciuti

con certezza come partecipanti

all'aggressione, accusati di lesioni gravi e

violenza, e per due di questi anche tentata

rapina. Dal venerdì 17 iniziano ad arrivare

anche i “Fogli di Via Obbligatori” da

Cagliari. Tradotto: per tre anni, questi

ragazzi non possono entrare nel Comune

di Cagliari, e considerando che quasi tutti

sono residenti in paesi nell'arco di 5

chilometri dal capoluogo, o comunque ci

lavorano, è una cosa assurda.

Sono passati sei mesi e nessuno ha

ancora ricevuto denunce, accuse dirette o

comunicazioni varie, oltre a ciò che c'è

scritto nella diffida e nel foglio di via.

Secondo delle voci, sia il professore della

scolaresca che gli alunni avrebbero sporto

denuncia contro ignoti, in quanto gli

aggressori (indicati in una decina)

avevano i volti coperti da sciarpe e

cappucci. Solo un alunno avrebbe fatto

denunce precise, riconoscendo ventisette

persone. Come sia possibile passare da

"una decina" a ventisette, e soprattutto

riconoscere con certezza persone coperte

resta un mistero.

Qualcuno, credendo nella giustizia, ha

fatto ricorso al TAR della Sardegna (con

relativa spesa di 500 euro per ogni

esposto), ricevendo in cambio una

risposta vaga (né ragione né torto, dato

che le indagini erano ancora in corso). In

effetti risultava un po’ difficile fare ricorso

entro 60 giorni per difendersi da un

provvedimento amministrativo emanato

dal Questore, senza sapere neanche

bene di cosa si è accusati...

Da poco quattro persone sono riuscite a

farsi scagionare da tutte le accuse (e ci

mancherebbe altro).

Durante "l'aggressione" uno di questi

stava giocando nel relativo campionato di

calcio (e il referto dell'arbitro l'ha

dimostrato), gli altri tre (residenti a 90 km

da Cagliari) erano in un locale della loro

zona (come sono riusciti a dimostrare

grazie alle telecamere a circuito chiuso del

posto).

Incredibile è la posizione di tre degli

accusati: i ragazzi si trovavano all'interno

dell'aeroporto di Cagliari-Elmas quando

succedevano "i fatti" in Via Roma, eppure

non possono dimostrarlo. I filmati a

circuito chiuso dell'aeroporto risultano

misteriosamente spariti, strano in periodi

in cui si parla tanto e quotidianamente di

sicurezza, terrorismo, ecc., ecc.

Penso sia finalmente ora di dare un po’ di

giustizia a questi ragazzi...

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