Vai al contenuto

Ferefere

Members
  • Numero contenuti

    1838
  • Iscritto

  • Ultima visita

Messaggi pubblicati da Ferefere


  1. https://infosannio.wordpress.com/2020/04/07/coronavirus-arriva-il-primo-esame-del-sangue-made-in-italy/

     

    (Simona Ravizza e Milena Gabanelli – il Corriere della Sera) – Elaborato, sperimentato e prodotto in Italia. Arriva il primo esame del sangue tutto made in Italy , per verificare chi ha sviluppato gli anticorpi al Covid-19. Dopo sei settimane di studi condotti al Policlinico San Matteo di Pavia, la multinazionale di diagnostica DiaSorin è pronta al lancio di un test sierologico costruito in vitro nei loro laboratori di Saluggia (Vercelli) da un team di 50 ricercatori. Entro due settimane è attesa la certificazione Ce, poi potranno partire i test sulla popolazione (con un costo inferiore a 5 euro ciascuno). Il risultato arriva in un’ ora. In Italia potranno essere processati circa 500.000 campioni al giorno.

     La novità è importante anche perché dal 1° aprile la National Medical Products Administration (Nmpa), ossia la massima autorità del farmaco cinese, ha divulgato una nota ufficiale con la quale comunica che i test rapidi sierologici (basta una goccia di sangue ottenuta pungendo un dito con risultato in 15 minuti) non hanno ancora tutti ottenuto una certificazione di validità e sicurezza in Cina: vuol dire che i tanti kit che hanno inondato il mercato fino ad oggi, incluso quello italiano, non sono tutti in grado di indicare chi è entrato in contatto con il virus, e quindi di escludere chi sia contagioso, perché hanno una bassa sensibilità.

    Il test italiano serve a rilevare chi, dopo aver contratto il virus ed essere considerato guarito perché i due tamponi a distanza di qualche giorno sono negativi, ha sviluppato quegli anticorpi che gli consentiranno di non ammalarsi di nuovo, in pratica certifica una patente di immunità.

    L’ esame funziona come un normale prelievo ematico. I pochi microlitri di sangue vengono inseriti in un macchinario apposito in grado di metterli a contatto con la proteina sintetica costruita nei laboratori DiaSorin utilizzando un pezzo di Sars-Cov-2 (nome del virus). Il kit automatizzato verifica il legame fra la proteina e l’ anticorpo neutralizzante (quello che impedisce alla particella virale di replicarsi nella cellula umana) e lo evidenzia attraverso un segnale luminoso. Il prototipo è stato testato nel laboratorio di virologia del San Matteo di Pavia utilizzando campioni di sangue (anonimi) di 150 pazienti ricoverati nelle varie fasi della malattia: terapia intensiva, malattie infettive, dimessi e guariti.

    La sperimentazione in vitro ha consentito di individuare la quantità di anticorpi prodotti dall’ organismo, e soprattutto quelli che lo proteggeranno in futuro: i neutralizzanti. Quanti di quei 22 mila cittadini considerati a oggi guariti, perché hanno fatto il secondo tampone risultato negativo, hanno sviluppato la patente di immunità? In base ai risultati delle sperimentazioni eseguite nel laboratorio di virologia di Pavia guidato da Fausto Baldanti, si può sapere solo con il test sierologico, valutato estremamente affidabile ed utilizzabile per lo studio epidemiologico di una intera popolazione, poiché può essere effettuato in tutti i punti prelievo di ogni ospedale. Ma quanto dura questa immunità? Si capirà ripetendo i test a distanza di mesi o anni.

    La fase due dello screening riguarda invece quei milioni di cittadini che hanno contratto il Covid-19, ma non sono mai stati sottoposti al tampone perché asintomatici o con sintomi lievi. In questi soggetti il test rileva la quantità totale di anticorpi (che vengono prodotti in valori diversi fra i 7 e 14 giorni dopo aver contratto l’ infezione). Se sono presenti gli anticorpi «killer» permette di considerare queste persone immuni, ma non esclude (con le conoscenze attuali) la loro potenziale infettività, che può essere accertata soltanto con due tamponi nasali. Una strategia però non applicabile sui grandi numeri per carenza mondiale di reagenti. La soluzione realisticamente praticabile sarebbe quella di evitare il secondo tampone finale in quei soggetti in cui si è riscontrata una negatività nel primo, contestualmente a una alta presenza di anticorpi neutralizzanti.

    Si tratta di persone che stanno bene, ma alle quali sarebbe per prudenza consigliabile restare a casa per 7 giorni. Se, invece, saranno reimmesse nei circuiti lavorativi, altrettanto prudentemente e sempre per una settimana, occorrerà garantire l’ obbligo inderogabile della mascherina e il mantenimento del distanziamento sociale.

    In Italia sarà disponibile fra due settimane. Il sistema di screening automatizzato di DiaSorin sarà a breve sottomesso alla Food and Drug Administration per l’ approvazione negli Usa tramite una procedura semplificata, tipica delle situazioni di emergenza.

    È in discussione un accordo con il governo belga per 3 milioni di test perché ha già definito il protocollo da utilizzare, mentre la richiesta di Germania e Usa è per circa 10 milioni di test. Sulla sierologia non ci sono ancora linee guida, e ogni Paese si fa la sua. A casa nostra sarà data precedenza assoluta al personale sanitario, dai medici agli infermieri.

    Poi si dovrà passare allo screening di massa, poiché nella fase due dell’ epidemia, quella della ripresa delle attività sociali e produttive, ci troveremo ad avere un basso numero di individui immuni e protetti (in possesso degli anticorpi neutralizzanti), ma il resto della popolazione sarà ancora suscettibile di infezione; pertanto le politiche dovranno tenere in considerazione questi elementi in attesa che venga prodotto, commercializzato, distribuito e quindi somministrato il vaccino.


  2. 47 minuti fa, callea ha scritto:

     

    Se non hai avuto contatti con nessun malato, se hai mantenuto la distanza minima di un metro da chiunque, se la usi solo per un tempo limitato come protezione in più oltre al distanziamento sociale e non hai avuto nessun contatto rischioso io non sterilizzerei nulla, la riporrei in un angoletto senza più toccarla fino al successivo utilizzo.

     

    Avendone almeno due, tre o più si potrebbe andare a rotazione in modo che ognuna abbia una quarantena di alcuni giorni.

    Il virus senza cellule muore e con un utilizzo blando queste mascherine probabilmente il virus non lo hanno mai visto o nella peggiore delle ipotesi, avrebbero una carica virale così bassa che si sterilizzerebbero da sole nella fase di non utilizzo.

     

    Il mio timore è che i tentativi di sterilizzazione possano in qualche modo danneggiare la struttura del tessuto e renderlo inefficace. Meglio metterle in quarantena senza fare nulla.

     

    Naturalmente se hai avuto un contatto a rischio, per esempio qualcuno ti ha starnutito o sputato in faccia, oppure hai avuto contatto con un malato la butterei senza tanti complimenti e senza tentare di sterilizzarla.

    Anche questa è un'opzione valida...


  3. 1 ora fa, INIGNUTTIBBILE ha scritto:

    Scarterei a priori il freezer, che non lo ammazza sicuro, casomai dovrebbe rallentarne i processi, per poi tornare a regime una volta scongelata la mascherina. Ricordo che la crioconservazione è normalmente utilizzata per i virus. 

    Si quello lo avrei scartato anche io in effetti, ma ho sentito di alcuni farmacisti a terni che la consigliano, non ricordo quali di preciso, in più c'è questo http://www.rete8.it/cronaca/82686coronavirus-mascherine-nel-freezer-per-poterle-riutilizzare/

     che va però in netto contrasto con questo

    https://english.alarabiya.net/en/features/2020/03/19/How-long-can-coronaviruses-survive-in-a-freezer-Up-to-two-years-warns-expert

    Forse a -4 si conserva mentre a -30 muore, boh..

     

     


  4. Intanto impazzano in rete consigli su come sanitizzare le mascherine ffp2/3 in caso si fosse costretti al loro riutilizzo.

    Tra i vari metodi c'è chi dice di spruzzarci una soluzione idroalcolica, chi di scaldarla a 56° per un'ora, chi di metterla in freezer o anche di lasciarla a contatto con i fumi di evaporazione dell'alcool denaturato per un paio d'ore, etc... .

    Tra questi e altri metodi, qualcuno sa se ne esiste uno meno peggio degli altri? 


  5. 16 minuti fa, callea ha scritto:


    Quelle col filtro sono utili anche ad evitare di respirare le polveri sottili. Penso a chi sta spesso nel traffico.
    Ho visto che le produce pure Xiaomi con filtro intercambiabile credo di comprarne una può sempre far comodo e chissà che non diventi un indumento di uso quotidiano anche finita l’emergenza del virus.
    In fondo mettiamo sciarpe guanti cappelli scalda collo, perché non anche una mascherina che protegge dall’inquinamento e dall’influenza?


    Inviato dal mio iPhone utilizzando Tapatalk

    Per carità ognuno è libero di fare quello che vuole, se adopera quello strumento come si deve, diciamo che in mano al 90% delle persone quel tipo di mascherina in questo momento è un danno più che un beneficio, oltre al fatto che le FFP2/3 e le bastano si e no per il personale sanitario.


  6. Sulle mascherine è stata fatta molta confusione. Per semplificare le mascherine chirurgiche (quelle senza filtro) che sono quelle che dovrebbero essere indossate dalle persone comuni non servono ad impedire che il virus entri in contatto con la persona che la indossa ma ad evitare che le droplet emesse da chi la indossa vadano a contatto con l'ambiente o le persone circostanti. 

    Quindi le mascherine chirurgiche servono a proteggere gli altri. Va da se che se tutti le indossano a quel punto anche chi la porta è a basso rischio di contagio.

    Le mascherine col filtro (quelle che devono essere indossate dal personale sanitario) servono a non far entrare il virus in chi le indossa e vanno maneggiate da gente esperta perché i filtri vanno cambiati spesso e nel farlo ci si può contagiare, oltre al fatto che indossate all'aperto i suddetti filtri si riempirebbero subito con altre particelle e diventerebbero inutili.


  7. 1 ora fa, callea ha scritto:

     

    Mi sembra un discorso contraddittorio.

    Se un virus ti contagia non perché qualcuno ti starnutisce a mezzo metro di distanza ma solo perché respiri un po' di nebbia all'aperto, significa che quel virus è contagioso già a livelli di carica virale infinitesimale....follia.... pura fantascienza.

     

    Tornando seri e lasciando perdere le cazzate: se l'inquinamento influisce sul contagio, è solo perché l'inquinamento diminuisce le difese del sistema respiratorio quando veniamo in contatto con un uomo infetto.

    Ovvio che ci si contagia principalmente per contatto, ma se oltre al contatto,  in particolari zone il virus è restato in sospensione nell'aria per molte ore, allora al contatto lì c'è stata una trasmissione anche per via aerea. Sommando le due cose è plausibile che le persone che vivevano in quel particolare contesto abbiano potuto "assorbire" una carica virale più consistente. 

    La carica infinitesimale che entra con un respiro, non dico di moltiplicarla per i 20.000 respiri  che ognuno di noi fa giornalmente, ma anche solo per 50 e per diciamo una decina di giorni.

    Con 500 inalazioni che finiscono direttamente nei polmoni non so quanto sia una cazzata tutto sto discorso.


  8. 6 minuti fa, ternano_84 ha scritto:

    Ho letto i tuoi interventi, per caso hai visto la vita in diretta intorno alle 14:30?,io mi ci sono capitato per caso,(uscito da lavoro),mentre pranzavo ascoltavo quel professore che con esempi,ripeto esempi,perché la gente meno afferrata senza esempi non capisce,ha parlato delle particelle del pm10.

    Lui ha detto che tutto questo inquinamento sulla pianura padana è portato dal vento dell'est,ha fatto vedere una cartina con i valori di pm10,tra pianura padana(con la sua caratteristica geofrafica)e est europa,la pianura padana aveva le stesse caratteristiche dell'est europa.

    Viste le chiusure,non ha dato altro che la colpa al vento che le ha trasportate dall'est europa,impossibile quell'inquinamento con le fabbriche(quasi) tutte chiuse.

    No, non l'ho visto dopo lo guardo...


  9. 1 ora fa, torquemada ha scritto:

    Che io sappia, la nebbia è la condensazione del vapore acqueo attorno a particelle di pulviscolo o polveri più o meno sottili, a certe condizioni di temperatura e pressione, come le nuvole, quindi mi pare molto probabile che divenga vettore anch'essa.

    Si può essere un vettore, anche se nel caso di nebbia che ingloba polveri sottili inquinanti parliamo di smog. Una parte di queste polveri poi viene depositato a terra proprio perché troppo pesanti per rimanere sospese nelle goccioline di acqua che formano la nebbia, mentre in caso di clima secco i virus legati alle pm10/2,5 o quello che è, possono rimanere attivi anche per giorni e se c'è vento essere trasportati anche a lunghe distanze, come accadde per l'influenza aviaria in asia nel 2010.

     

     

     


  10. 28 minuti fa, Manson ha scritto:

    Ma perchè l'afa ha una qualche consistenza?

     

    Chiedo senza alcun intento ironico. 

    Afa è intesa come l'insieme di temperatura elevata, alto tasso di umidità nell'aria e assenza di vento. I primi due fattori (uno solo dei due o entrambi) da alcuni studi sembrerebbero rallentare la diffusione e non favorirla. Per cui aria secca e/o clima freddo sembrano essere  fattori che favoriscono la diffusione.


  11. 12 minuti fa, torquemada ha scritto:

    Io ho sempre sentito dire che non c'è correlazione certa su questo aspetto, quindi anche questa cosa, per quello che ho ascoltato io, è ad oggi un ipotesi e nulla più.

    O sbaglio ?

     

    Perché se così è allora anche la nebbia - magari a maggior ragione - può essere veicolo di infezione, ma direi anche l'afa in generale, quindi a sto punto chi te salva ? puoi stare confinato un secolo e a distanza siderale che tanto daje oggi daje domani.....

    Si è un'ipotesi,  per dimostrarla occorre uno studio specifico e ci vogliono mesi. E' risaputo però che alcuni virus tra cui molto probabilmente anche questo possono legarsi alle particelle di particolato (tipo le PM10) presenti nell'aria e rimanere in sospensione per ore, questo  è già stato dimostrato e c'è poco da dimostrare. La nebbia essendo formata per lo più da vapore acqueo in assenza di polveri sottili non dovrebbe essere altrettanto efficace nel trasmettere il virus..


  12. 6 minuti fa, Romairone ha scritto:

    Una domanda che mi sono fatto fin dall'inizio è la differenza tra caso e caso , cioè a parita di età e di condizioni generali di salute c'è chi se lo passa da asintomatico e chi deve andare in terapia intensiva, la spiegazione a questo è stata sempre, più o meno, che dipende dalla risposta del sistema immunitario di ciascuno.

    Sul New york time oggi ho letto un articolo interessante che secondo me spiega meglio questa differenza sui vari decorsi del virus sulle persone,

    cosa che ho spesso ipotizzato ma che da nessuno prima ho sentito discutere:

    L'articolo è tradotto con google translate quindi in alcuni punti l'italiano non è fluidissimo:

    These Coronavirus Exposures Might Be the Most Dangerous

     

     

    Come con qualsiasi altro veleno, i virus sono generalmente più letali in quantità maggiori.

    Li Wenliang, il medico cinese che ha preso coscienza del nuovo coronavirus, è morto a causa del virus a 34 anni a febbraio. La sua morte è stata scioccante non solo per il suo ruolo nel pubblicizzare l'epidemia in via di sviluppo, ma anche - dato che i giovani non hanno un alto rischio di morte per Covid-19 - a causa della sua età.

    È possibile che il dottor Li sia morto perché come medico che ha trascorso molto tempo attorno a pazienti con Covid-19 gravemente malati, è stato infettato da una dose così alta? Dopotutto, sebbene sia stato uno dei primi giovani operatori sanitari a morire dopo essere stato esposto da vicino e frequentemente al virus, purtroppo non è stato l'ultimo.

    L'importanza della dose virale viene trascurata nelle discussioni sul coronavirus. Come con qualsiasi altro veleno, i virus sono generalmente più pericolosi in quantità maggiori. Le piccole esposizioni iniziali tendono a portare a infezioni lievi o asintomatiche, mentre dosi più elevate possono essere letali.

    Dal punto di vista politico, dobbiamo considerare che non tutte le esposizioni al coronavirus possono essere uguali. Entrare in un edificio per uffici in cui un tempo conteneva qualcuno con il coronavirus non è pericoloso come sedersi accanto a quella persona infetta per un viaggio di un'ora di treno.

    Questo può sembrare ovvio, ma molte persone non stanno facendo questa distinzione. Dobbiamo concentrarci maggiormente sulla prevenzione delle infezioni ad alte dosi.

    Sia piccole che grandi quantità di virus possono replicarsi all'interno delle nostre cellule e causare gravi malattie in soggetti vulnerabili come immunocompromessi. Nelle persone sane, tuttavia, i sistemi immunitari rispondono non appena percepiscono un virus che cresce all'interno. Il recupero dipende da chi vince la gara: diffusione virale o attivazione immunitaria.

    Gli esperti di virus sanno che la dose virale influisce sulla gravità della malattia. In laboratorio, i topi che ricevono una bassa dose di virus lo eliminano e si riprendono, mentre lo stesso virus a una dose più elevata li uccide. La sensibilità alla dose è stata osservata per ogni comune infezione virale acuta che è stata studiata negli animali da laboratorio, inclusi i coronavirus.

    Gli esseri umani mostrano anche sensibilità alla dose virale. I volontari si sono lasciati esporre a dosi basse o alte di virus relativamente benigni che causano raffreddori o diarrea. Coloro che ricevono le dosi basse hanno raramente sviluppato segni visibili di infezione, mentre le dosi elevate hanno in genere portato a infezioni e sintomi più gravi.

    Non sarebbe etico manipolare sperimentalmente la dose virale nell'uomo per un patogeno grave come il coronavirus, ma ci sono prove che la dose sia importante anche per il coronavirus umano. Durante l'epidemia di coronavirus della SARS del 2003 a Hong Kong, ad esempio, un paziente ha contagiato molti altri residenti nello stesso complesso di condomini, provocando 19 morti. Si ritiene che la diffusione dell'infezione sia stata causata da particelle virali disperse nell'aria che sono state soffiate in tutto il complesso dall'appartamento del paziente iniziale. Come risultato di una maggiore esposizione virale, i vicini che vivevano nello stesso edificio non solo erano più frequentemente infettati, ma avevano anche maggiori probabilità di morire. Al contrario, i vicini più distanti, anche se infetti, hanno sofferto di meno.

    Le infezioni a basse dosi possono persino generare immunità, proteggendo da esposizioni ad alte dosi in futuro. Prima dell'invenzione dei vaccini, i medici spesso infettavano intenzionalmente soggetti sani con fluidi provenienti da pustole di vaiolo. Le risultanti infezioni a basse dosi sono state spiacevoli ma generalmente sopravvivibili e hanno prevenuto i peggiori episodi di malattia quando tali soggetti sono stati successivamente esposti al vaiolo in quantità incontrollate.

    Nonostante l'evidenza dell'importanza della dose virale, molti dei modelli epidemiologici utilizzati per informare la politica durante questa pandemia la ignorano. Questo è un errore.

    Le persone dovrebbero prestare particolare attenzione alle esposizioni ad alte dosi, che molto probabilmente si verificano in interazioni ravvicinate di persona - come riunioni di caffè, bar affollati e momenti di tranquillità in una stanza con la nonna - e dal toccare i nostri volti dopo aver ottenuto quantità sostanziali di virus sulle nostre mani. Le interazioni di persona sono più pericolose in spazi chiusi e a brevi distanze, con una dose che aumenta con il tempo di esposizione. Per interazioni transitorie che violano la regola di mantenere sei piedi tra te e gli altri, come pagare una cassiera al supermercato, tienili brevi - punta a "entro sei piedi, solo sei secondi".

    Poiché la dose è importante, il personale medico si trova ad affrontare un rischio estremo, poiché si occupa dei pazienti più malati e con la più alta carica virale. Dobbiamo dare la priorità ai dispositivi di protezione per loro.

    Per tutti gli altri, l'importanza del distanziamento sociale, dell'uso della maschera e della buona igiene è solo maggiore, poiché queste pratiche non solo riducono la diffusione infettiva, ma tendono anche a ridurre la dose e quindi la mortalità delle infezioni che si verificano. Mentre prevenire la diffusione virale è un bene sociale.

     

    Sempre sostenuta questa tesi. La quantità di carica virale può essere determinante. Su al nord se lo sono respirato per giorni visto l'inquinamento dell'aria e la capacità di questo virus di restare in sospensione per ore grazie allo smog. Questo è stato uno dei fattori che ha fatto di più la differenza tra il nord e il resto dell'Italia...


  13. La Spagna oggi ci supera ed è il paese  più in crisi al momento in Europa, Germania e Francia in netta crescita, più indietro gli inglesi che però sono in ritardo di una settimana rispetto agli altri.. curioso di vedere come andrà in Svezia con la loro politica di chiusura “soft”.

    BB18ED1C-76AB-48DD-824C-F528AF3C1F1C.png


  14. http://europa.today.it/attualita/coronavirus-contati-decessi-ue.html#_ga=2.35335137.1925436830.1585578735-125559965.1564578964

     

    Coronavirus, ecco come vengono contati i decessi nei diversi Paesi Ue

    In Italia, il tasso di letalità del coronavirus supera il 10% dei casi accertati, mentre in Iran e Spagna, tale percentuale scender a circa il 7%. Ovviamente le percentuali reali di decessi rispetto al totale dei contagiati sono molto più basse, perché queste si riferiscono solo ai casi accertati con il tampone. In Corea del Sud e negli Stati Uniti, per il momento la percentuale ufficiale è inferiore all'1,5%. E in Germania addirittura inferiore all’1% di tutti i contagiati accertati. Come sono possibili tali differenze? Come spiegato da vari esperti, i fattori che possono influire nei gap di letalità del Covid-19 da uno Stato all’altro hanno a che fare con l’età media della popolazione, con la forza del sistema sanitario locale ma anche con metodi di conteggio delle morti o degli stessi contagiati totali, per niente facili da quantificare. 

    Differenze tra Italia e Spagna

    Gli esperti di epidemiologia avvertono che non tutte le morti collegate al coronavirus sono state adeguatamente registrate. E questa è una critica rivolta a tutti i Paesi. In Francia, ad esempio, non sono stati contati i decessi avvenuti fuori dagli ospedali. Situazione simile anche in Spagna, dove, secondo El Pais, non sono state sottoposte a test né le persone morte in casa né i malati deceduti nelle case di riposo per anzianiL'Italia include nel registro delle vittime di coronavirus tutti i pazienti che sono risultati positivi e che sono deceduti. Il che avviene indipendentemente da altri fattori clinici, come deciso dall'Istituto superiore di sanità. E questo porta a tenere conto anche di persone che soffrivano già di gravi patologie, alle volte già in stadio avanzato.

    Il metodo inglese

    Fino allo scoppio dell'epidemia di coronavirus, nel Regno Unito, quando un paziente moriva in ospedale per un'infezione respiratoria, la causa specifica del decesso non veniva mai registrata. Il referto medico indicava semplicemente broncopolmonite, polmonite, età avanzata o simili diciture. Solo a partire dal 5 marzo il Covid-19 è entrato nell'elenco delle notifiche obbligatorie. Il Regno Unito differisce da altri Paesi europei anche per il modo in cui vengono condotti i test, sottoposti ai soli pazienti ospedalieri per il momento. Per tale motivo le autorità sanitarie britanniche si sono sentite in dovere di avvertire che quando il numero di casi positivi era pari a circa 500 persone, le cifre reali potevano essere comprese tra i cinquemila e i  diecimila contagi. Il tasso di mortalità nel Regno Unito, che attualmente si attesta al 6%, sarebbe in realtà molto più basso se si contassero anche i contagi extra-ospedalieri, sottolineano gli esperti, che lo quantifica a meno dell'1 per cento.

    Il conteggio in Germania

    Coronavirus, ecco come vengono contati i decessi nei diversi Paesi Ue

    La Germania, con un tasso di letalità pari a 0,72%, è stata spesso criticata nelle ultime settimane per il suo modo di conteggiare le vittime del virus. Il Robert Koch Institute, che si occupa di tenere conto delle morti accertate, ha assicurato al quotidiano spagnolo El Pais che “tutti i decessi correlati alla malattia di Covid-19 sono registrati” sia con riferimento alle “persone decedute direttamente dalla malattia” sia “per i pazienti con malattie precedenti che rendono impossibile dimostrare chiaramente quale è stata, in definitiva, la causa della morte”. In caso di sospetti, aggiunge l'istituto, “possono essere svolti esami post-mortem”, ma non chiarisce quanti casi sospetti siano stati sottoposti all'autopsia.

     
     

    Situazione in Olanda

    Nei Paesi Bassi, così come nel Regno Unito, il test è riservato ai pazienti ospedalizzati. L'ente responsabile del conteggio offre cifre su decessi, infezioni e ricoveri ospedalieri, ma afferma che il calcolo reale potrebbe essere molto più elevato, poiché questi sono solo i casi verificati.

    • Grazie 1

  15. A meno che i tedeschi non abbiano un vaccino quei dati sono ridicoli.

    Noi per vari motivi potremmo essere 4/5 punti percentuali sopra loro ma avere una mortalità 15 volte superiore non sta ne in cielo ne in terra.

    Dando per scontato che i positivi reali siano tra le otto e le dodici volte quelli rilevati dai tamponi la nostra mortalità scenderebbe intorno all'1%


  16. https://www.ilgiornaledivicenza.it/home/veneto/zaia-test-a-tutti-quelli-che-sono-a-casa-malati-1.8015180

     

     

    "PATENTE" PER I GUARITI DAL CONTAGIO

    «Dovremo pensare a un’uscita come a un "soft landing", dovrà essere graduale, non tanto come uscita dei cittadini ma come riprendere normali condizioni di vita». Lo ha affermato il presidente del Veneto, Luca Zaia, intervistato stamani da Mattino 5. «Immagino che una delle soluzioni - ha proseguito Zaia - sulla quale noi stiamo lavorando, è quella del test sierologico, in maniera di andare a vedere se si sono formati gli anticorpi, e qui ci vogliono tempistiche, modalità. Stiamo cercando di ragionare anche su questo fronte, in modo da dare una "patente" che attesta che tu hai avuto la risposta anticorpale. C’è anche da dire che abbiamo casi di re-infezione. Potrebbe anche accadere, e qui ce lo dovranno dire gli scienziati, che chi ha già avuto una risposta anticorpale magari potrà comunque essere esposto a un’ulteriore infezione - ha concluso - magari di una variante del virus».

     

     

    Se venisse esclusa la possibilità di re-infezione sarebbe un' ottima cosa per tutti quelli guariti sia che fossero stati sintomatici oppure no, che potrebbero tornare a fare una vita normale prima degli altri...

×

Informazione Importante

Usando questo sito acconsenti ai nostri Termini D'uso. Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Utilizziamo sia cookie tecnici sia cookie di parti terze. Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.