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Axel77

«Tifosi razzisti, ma pago io»

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25/10/2006

 

GENOVA. L’hanno insultato per venti minuti. Gridandogli offese sui maghrebini. Alla fine Abdelabi El Abraoui non ce l’ha più fatta. Ha smesso di giocare e ha risposto per le rime ai tifosi sulle tribune. E l’arbitro l’ha espulso, applicando alla lettera il regolamento: un giocatore col pubblico non può parlare.

 

Anche se è bersaglio di offese razziste. E’ successo domenica, durante l’incontro tra il Camogli e l’Athletic a Genova, nel campionato di Promozione. Ora «Abdul», 26 anni, marocchino, rischia pure qualche giornata di squalifica. «L’arbitro ha ragione - riconosce con pacatezza -. Le regole devono essere rispettate. Forse avrebbe potuto avvertirmi. Ma va bene così». E i tifosi, assolve anche quelli? «A mente fredda penso che siano stati più sciocchi che razzisti.

 

Un insulto va bene. Due pure. Domenica hanno esagerato. Comunque non avrei dovuto reagire. La prossima volta mi tappo le orecchie e penso solo a giocare, a vincere». Abdelabi è un generoso centrocampista del Camogli. Si butta su ogni palla. Domenica s’è toccato duro con l’avversario. Ne sono nate occhiate torve e un mezzo litigio. Sugli spalti, il padre del giocatore se l’è presa. Gli insulti che sgorgavano dalla sua ugola hanno trovato eco nei compagni di tifo. A fine match, dopo la clamorosa espulsione che sta facendo il giro d’Italia, le due squadre si sono abbracciate. L’allenatore dell’Athletic ha chiesto scusa. Abdelabi le ha accettate, in fondo sa che un campo di calcio non è un convegno della Crusca. «Niente allarme razzismo - dice -. Erano solo genitori più esagitati del dovuto. Quando giocavo in seconda categoria erano gli avversari in campo a dirmene di tutti i colori. Ora che sono in promozione gli insulti piovono dalle tribune. Sarà un salto di qualità?».

 

Abdelabi ha 26 anni. E’ alto un metro e 75 e pesa 65 chili. Gioca da un anno con il Camogli. Ha dei buoni piedi. Soprattutto è velocissimo. Negli allenamenti, quando si corre, dà almeno due giri di campo a tutti. Quando non si allena lavora come carpentiere. Vive a Rapallo. Divide la casa con due amici. Vorrebbe una fidanzata, una moglie, una famiglia. Nove anni fa i suoi sogni erano diversi. Voleva conquistare fama e denari con il calcio. Perché era molto dotato. Arrivò con la nazionale giovanile marocchina a giocare a Napoli. Disputò un ottimo match contro gli Azzurri, anche se perse. Alla fine decise di fuggire dal ritiro.

 

Di restare in Italia clandestino. Si è fermato sul Tigullio per puro caso, perché il controllore del treno l’ha sorpreso senza biglietto e l’ha fatto scendere a Rapallo.

 

«Avevo 17 anni, ero pieno di illusioni. Mi dicevano che in Europa avrei fatto fortuna con i miei piedi. Mi sono trovato nel nulla. Senza famiglia, senza amici. E le porte del calcio tutte chiuse. Un giorno sono andato allo stadio della Sampdoria per chiedere un provino. Mi hanno chiesto un sacco di documenti invece di farmi toccare il pallone. Sono tornato con i documenti. Me ne hanno chiesto altri. Ho capito che era una scusa e che avrei dovuto guadagnarmi il pane in altro modo».

 

Abdelabi era un ragazzo per bene. Clandestino, avrebbe potuto finire male, come tanti suoi coetanei maghrebini. Invece ha imparato a sfornare pizze, a cucinare nei ristoranti. L’anno scorso il sogno del calcio è riaffiorato. Ha giocato nel Santa Maria del Taro, provincia di Parma, in seconda categoria. «L’allenatore mi ha detto che meritava di più e difatti quest’anno sono in promozione e sono felicissimo. Ho smesso di lavorare nei ristoranti perché volevo avere le serate libere per allenarmi. E sono diventato carpentiere».

 

In Italia Abdelabi si trova bene. «Ho incontrato tante brave persone - dice -. Mi hanno aiutato. Anche quando ero solo un fantasma illegale». Se tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta? Inseguirebbe di nuovo il sogno di gloria in Occidente? «Probabilmente no. Forse ho commesso un errore a inseguire sogni troppo grandi, cercando di bruciare le tappe. Ma avevo fretta, fame di successo. Alcuni compagni della nazionale di allora ora giocano in serie A. Altri sono andati in Francia. Molti altri, invece, sono disperati. Quando torno in Marocco vedo amici che hanno smesso di giocare e non hanno lavoro. Io, grazie a Dio, il pane riesco a guadagnarmelo».

 

Abdelabi è musulmano. Ma non praticante. «Però ho rispettato il Ramadan - dice -. Anzi, la mia espulsione è avvenuta proprio nell’ultimo giorno del Ramadan. Il mister mi aveva detto che se mi sentivo debole per il digiuno potevo anche non giocare. Avrei fatto meglio a dargli retta».

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