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MISTERI..6a Puntata CALCIO

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LA MORTE IRRISOLTA DI UN CALCIATORE

 

Il cadavere steso sul selciato della strada non sembra lasciare dubbi, come il verbale che la polizia ha stilato dopo essere stata sul luogo dell’incidente: chi è finito sotto le ruote dell’autocarro ci si è gettato di sua volontà e quindi si tratta di un suicidio. Soluzione logicamente impeccabile e caso chiuso in fretta, infilato negli archivi dopo pochi altri, frettolosi controlli. Un’ansia di chiudere la faccenda che alimenta i sospetti sulla veridicità della versione ufficiale sul fatto, la morte di Donato Bergamini, calciatore professionista, al momento della morte in forza al Cosenza.

 

Una storia, quella di Donato Bergamini, che ha trovato il suo tragico epilogo nella sera del 18 Novembre 1989, quando il suo cadavere viene ritrovato riverso sull’asfalto. E’ uno shock per l’ambiente cosentino e per il calcio in generale, visto che un avvenimento del genere non si era mai verificato, almeno non coinvolgendo un calciatore che militasse in un club professionistico. Ad aggravare la faccenda ci sono anche delle insistenti voci che girano attorno alla squadra del Cosenza, voci che parlano di uomini della malavita locale che sarebbero in stretto contatto con i vertici dirigenziali del club, al punto da poterli influenzare e coinvolgere in un giro di scommesse illegali, con tanto di partite vendute e risultati combinati, un giro di “affari” che vedrebbe implicati anche diversi calciatori della squadra, tra cui Donato Bergamini.

 

Ad indagare su questo inquietante miscuglio di cronaca sportiva e giudiziaria è ex-calciatore Carlo Petrini, al suo secondo libro dopo l’autobiografico “Nel fango del Dio Pallone” ed autore, per questa sua seconda fatica letteraria, di un notevole lavoro di ricerca, tra interviste alle persone informate dei fatti e minuziosi controlli dei verbali della polizia sul suicidio di Bergamini, un lavoro che ha portato l’autore a scrivere questo libro-inchiesta, in cui si ipotizza chiaramente che le cose non andarono affatto come si vuole far credere, che la morte del centrocampista del Cosenza, molto probabilmente, non è un suicidio.

 

Il libro di Petrini parte con una ricostruzione degli avvenimenti che si erano succeduti a Cosenza immediatamente prima dell’arrivo di Bergamini in squadra. La dirigenza calabrese aveva esonerato l’allenatore Gianni di Marzio nonostante quest’ultimo avesse conseguito ottimi risultati alla guida della squadra, come la promozione dalla serie C1 alla B e anche il trainer che gli era succeduto in panchina, Bruno Giorgi, aveva avuto dei seri problemi con la società e l’ambiente cosentino, già allora, si sussurrava, in stretti contatti con la malavita del luogo, interessata ad influenzare le scelte della società per i propri scopi. Bergamini era appena arrivato al Cosenza e, dalla ricostruzione dei fatti, dalle testimonianze dei suoi compagni di squadra viene fuori la figura di un ragazzo di campagna, semplice ed ingenuo, apparentemente benvoluto da tutti e assolutamente incapace di lasciarsi coinvolgere in affari illeciti. Apparentemente, in quanto esiste il rovescio della medaglia e l’ingenuità di Bergamini poteva facilmente essere sfruttata ed incanalata da qualcuno in modo da coinvolgere il centrocampista in qualcosa di poco pulito, come l’autore ipotizza che sia effettivamente poi successo. Alla base di tutto ci furono alcune prestazioni poco convincenti della squadra, alcune partite perse o pareggiate in maniera clamorosa, talmente clamorosa che, già sugli spalti dello stadio cosentino, tra gli spettatori che assistevano alle sconcertanti performances della squadra, serpeggiava il sospetto che ci fosse dietro qualcosa di più di un calo atletico.

 

Una accusa precisa ai dirigenti del Cosenza la lancia Domizio Bergamini, il padre di Donato: intervistato dall’autore del libro a riguardo, il genitore del calciatore non usa mezze misure e dice chiaramente che, nel presunto suicidio del figlio, una parte importante l’hanno avuta i dirigenti della squadra, che in qualche modo tenevano sotto controllo Donato, probabilmente anche con il ricatto e i suoi stessi compagni di squadra, colpevoli di aver lasciato Bergamini da solo, una volta intuito che potesse essere fonte di qualche problema. Ad essere sotto accusa è soprattutto Michele Padovano, l’attaccante che poi farà una gran carriera, arrivando ad indossare la maglia della Juventus e che, almeno in apparenza, era il miglior amico di Donato. In apparenza, almeno a giudicare dall’atteggiamento dello stesso Padovano, intervistato da Petrini sull’argomento: l’ex-attaccante del Cosenza, pungolato sul vivo, non conclude l’intervista, pretendendo anche la restituzione del nastro.

 

E, alla fine della lettura, non può che restare una sensazione di amaro in bocca al lettore di questa storia: una sensazione che nasce dalla colpevolezza che il protagonista di questa vicenda era il meno colpevole di tutti e, nonostante questo, ha pagato il prezzo più alto. Una vicenda a metà tra lo squallido e il grottesco, dove nessuno dice quello che pensa e ognuno recita la parte che gli è stata assegnata. E, come nella più stucchevole delle recite, lo spettacolo deve continuare. Sempre e comunque.

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L'INTERVISTA A CARLO PETRINI....

 

 

NEMO: Sig. Petrini, quando e in che modo ha sentito parlare per la prima volta del caso di Donato Bergamini?

 

CARLO PETRINI: Ne ho sentito parlare la prima volta quando scrissi e presentai un soggetto cinematografico che trattava di un calciatore la cui vicenda era simile a quella di Donato Bergamini. Poi il soggetto non si concretizzò, ma la curiosità mi spinse a contattare i genitori di Bergamini.

 

NEMO: Cosa l’ha spinta ad interessarsene al punto da farci un libro-inchiesta?

 

CARLO PETRINI: Contattai i genitori di Donato Bergamini e andai a parlare con loro assieme ad altre due persone, due giornalisti che però, appena appresi alcuni dettagli in più su quella storia lasciarono perdere immediatamente. Erano spaventati da quella vicenda.

 

NEMO: Esattamente, cosa li spaventava tanto, secondo lei?

 

CARLO PETRINI: Mah, credo li avesse spaventati a morte soprattutto il fatto che c’entrasse la criminalità organizzata e, comunque la faccenda era stata seppellita in fretta, segno che “scottava”.

 

NEMO: Quando ha capito che in quella storia c’era qualcosa che non quadrava?

 

CARLO PETRINI: Quasi immediatamente: ho letto i giornali dell’epoca, e soprattutto gli atti del processo e ed era evidente che c’erano diverse cose che non andavano, troppe incongruenze, troppe incertezze.

 

NEMO: Come ha deciso di procedere, una volta stabilito di seguire il caso? E la casa editrice che ha pubblicato poi il libro in che modo l’ha supportata?

 

CARLO PETRINI: All’inizio la casa editrice non era molto soddisfatta di questa mia iniziativa, ma poi, specie quando ha saputo che gli altri due giornalisti si erano tirati indietro, ha iniziato ad incoraggiarmi ad andare avanti, avevano capito che questa vicenda meritava di essere approfondita. Io sono andato a casa dei genitori di Donato Bergamini, munito di un registratore, come te adesso, e ho iniziato a fare domande. Il resto è venuto di conseguenza.

 

NEMO: Come ex-calciatore, è chiaro che lei contava sulla sua conoscenza dell’ambiente calcistico: al termine di questa esperienza, può dire che, se non fosse stato del giro, avrebbe potuto conseguire gli stessi risultati?

 

CARLO PETRINI: Mah, credo che una persona estranea all’ambiente del calcio magari non avrebbe ottenuto gli stessi risultati, anche perché si sarebbe stupito e scoraggiato di fronte a certi atteggiamenti quasi omertosi da parte dei compagni di squadra di Donato Bergamini.

 

NEMO: Precisamente, che idea si è fatta di Donato Bergamini, soprattutto umanamente?

 

CARLO PETRINI: Era di sicuro un ragazzo ingenuo, un ragazzo di campagna che si è trovato all’improvviso in un altro ambiente, molto diverso da quello di origine, in una situazione più grande di lui, insomma, che non ha saputo controllare e, alla fine, l’ha inghiottito.

 

NEMO: Bergamini, quindi, appare come un ragazzo molto ingenuo: è possibile che, in un ambiente corrotto come quello che lei descrive, ci siano ancora persone così?

 

CARLO PETRINI: Sì, è possibile, anche perché, come ti ho già detto, nell’ambiente del calcio si ha interesse a fare in modo che i calciatori sappiano il meno possibile e siano molto poco consapevoli, quindi un ragazzo ingenuo come Bergamini poteva tranquillamente fare tutta la sua carriera in questo modo.

 

NEMO: L’ambiente cosentino non sembra molto diverso da quelli da lei descritti nella sua autobiografia, eccetto una invadente presenza di certa criminalità organizzata: lei che pensa?

 

CARLO PETRINI: Si sono fatte tante ipotesi su cosa sia effettivamente successo in quel periodo a Cosenza. Di certo ci sono state troppe cose strane e tutte insieme da far pensare che ci fosse per davvero qualcuno di estraneo al calcio che influenzava le decisioni della società.

 

NEMO: Ritiene che, nelle partite combinate del Cosenza, c’entrasse effettivamente la malavita?

 

CARLO PETRINI: Era un sistema legato alle scommesse, quindi un illecito. Facile quindi che attirasse le mire della criminalità organizzata.

 

NEMO: Bergamini a parte, quanti dei suoi compagni ritiene che si rendessero conto della cosa?

 

CARLO PETRINI: Credo non molti, comunque quei pochi che sapevano, sapevano ogni cosa.

 

NEMO: Nel libro si parla molto di Michele Padovano, e l’ex-attaccante di Pisa, Napoli e Juventus, dice che una sua conoscenza, uno importante, lo aiutò a passare alla squadra partenopea: cosa c’è di vero, secondo lei?

 

CARLO PETRINI: Io ho incontrato di persona Michele Padovano e la cosa che mi ha colpito è stata proprio questa: fino a che non gli ho fatto questa domanda lui è stato molto disponibile, ma, quando ha sentito che accennavo a questo fatto, ha cambiato bruscamente atteggiamento, ha voluto che gli consegnassi la cassetta su cui stavo registrando l’intervista e si è allontanato senza più dire una parola.

 

NEMO: Nel libro, lei riporta alcuni frasi di Bergamini, dalle quali si evince chiaramente che Padovano faceva uso di droghe leggere: quanto pensa sia diffuso questo vizio tra i calciatori?

 

CARLO PETRINI: Questo non lo so proprio. Presumo di sì, comunque. Ai miei tempi, di queste vizi noi calciatori non ne avevamo, pensa che il mio primo spinello me lo sono fatto pochi mesi fa, perché pare che la marijuana abbia delle proprietà curative per il glaucoma che ho in un occhio, ma, visto che mi ha “ubriacato” non penso che ripeterò l’esperienza.

 

NEMO: Dopo averlo incontrato di persona, che impressione ha di Michele Padovano?

 

CARLO PETRINI: Non certo una buona impressione: fino a quando non ho accennato al fatto che il padre di Donato mi ha riferito della sua frase riguardo a quella sua conoscenza importante, era, nei suoi discorsi “una persona eccezionale”, mentre, dopo quella frase, è diventato di colpo “un bastardo, un figlio di puttana etc”. E, tra l’altro, ha voluto prendersi la cassetta, convinto che quella fosse l’unica prova di quanto aveva detto, senza nemmeno pensare che la persona che avevo con me potesse fare da testimone delle sue affermazioni.

 

NEMO: Nel libro, si accenna a una fidanzata di Bergamini, forse la causa della sua morte: secondo lei quanto c’è di vero?

 

CARLO PETRINI: Quella ragazza, Isabella, è di sicuro parte integrante della vicenda: la sua testimonianza della morte di Bergamini è l’unica che abbiamo, anche se parecchio lacunosa e contraddittoria. Quando l’hanno portata in commissariato, sembrava quasi che fosse il maresciallo a rispondere per lei alle domande. Penso sappia molto di più di quanto ha detto.

 

NEMO: Bergamini, nel libro, viene descritto come un ragazzo ingenuo e, comunque, per niente interessato a quanto accadeva nel mondo, al di fuori del calcio: secondo lei questo ha inciso nella sua precoce fine di carriera?

 

CARLO PETRINI: Credo abbia inciso molto, se fosse stato meno ingenuo, più capace di controllare la propria vita, meno influenzabile, insomma non credo che sarebbe andata a finire così.

 

NEMO: Cosa crede che questa vicenda abbia da insegnare?

 

CARLO PETRINI: Credo che questa vicenda insegni soprattutto che Bergamini è stato lasciato solo.

 

NEMO: Personalmente, cosa le ha insegnato?

 

CARLO PETRINI: Mi ha insegnato che quello che è scritto nei tribunali “La giustizia è uguale per tutti” non è vero, non è vero per niente. Non è così, Donato Bergamini di giustizia non ne ha avuta. E, probabilmente, non ce l’avrà mai.

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purtroppo altro mistero tutto italiano, di come sia possibile infangare e archiviare tutto a causa delle forti pressioni... è vero, la giustizia NON è uguale per tutti....

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E' chiaro che non si trattò di suicidio, Bergamini era finito in giri pericolosi legati alla malavita organizzata (droga o scommesse) ed è stato chiaramente eliminato, probabilmente con la complicità dell'allora ragazza.

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