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Facebook traditore Ha fatto a pezzi la mia vita erotica

 

 

di Massimiliano Parente

 

«Le hai rubato la sua identità, il suo nome, sei un criminale» mi dice in chat una certa Maria Assunta, alla quale avevo chiesto “amicizia” io, su Facebook, perché lei l’aveva chiesta a Amélie, non quella vera ma quella finta, su mandato della vera Amélie, per scoprire chi avesse duplicato l’account di Amélie, chi avesse creato un perfetto duplicato della sua pagina e chiesto amicizia a tutti i suoi amici. Neppure nell’ultima tribù animista deve essersi mai sentita un’affermazione del genere, con un tono tanto drammatico, resterebbero increduli anche Levi Strauss o Edward Tylor, poveretta anche questa Maria Assunta, ognuno ha gli amici che si merita. Io quindi ho “rubato” l’identità di Amélie, come se non avessi fatto ben altro prima, quando quattro mesi fa, da fine novembre al 15 dicembre, Amélie mi tradì, quando trovò un principe azzurro di passaggio per liberarsi di me. Lei mi amava, io le volevo “solo” bene e la desideravo “solo”, lei voleva un marito, io non lo sarei mai stato. Lei voleva una vita normale, la mia era troppo complicata. Chi è Amélie? Amélie è una ragazza di trent’anni che riempie la macchina e la casa di chincaglierie, pupazzetti, girandole, cappellini, fiorellini, e in quasi due anni di rapporto con lei non ho capito l’inaffidabilità e la spietatezza totale di chi vive di gadget e rende i pensieri souvenir e ciliegine di torte che non ci sono.

 

Il tradimento

Quando, dopo le mie ripetute insistenze, mi confessò che c’era andata a letto, lei che andava a letto solo per amore e era stata solo con due uomini nella sua vita contando me, lei così difficile, quando mi disse che c’era stata dopo neppure una settimana, con questo bravo ragazzo sincero e fotografo (e lui che da subito, dall’approccio in discoteca, non aveva mai conosciuto una come Amélie e erano due anni che non usciva con nessuna, quant’è tenera la notte) lei disse che ero “solo” geloso. «È un puttaniere, Amélie, lascialo perdere» le dissi, e non c’era bisogno di aver letto Casanova o Proust per capirlo. Non servì a nulla, e prima ancora che ci andasse a letto mi mandava sms per dirmi che finalmente aveva trovato un uomo carino, premuroso, un possibile “fidanzato” vero, e cose tipo: «Stasera ci siamo baciati, mi ha portato un mazzo di fiori gialli con i pon-pon, che amore!». Fu in quei dieci terribili giorni, dopo la confessione di Amélie, che tirai fuori il mio asso nella manica di internet: Eva, altro mio account femminile su Facebook, una troia con duemila amici arrapati. Così io, Eva, una mattina ho contattato il principe azzurro di Amélie, mettendolo a suo agio non soltanto con le foto sexy di cui era piena la mia bacheca di femmina seduttrice, pescate da siti erotici amatoriali, ma anche raccontandogli le mie storie di ragazza libera e traditrice, cosa che ha portato il principe azzurro di Amélie a fare altrettanto raccontandomi i suoi incontri sessuali e sbottonandosi in ogni senso fino a lasciarmi il suo cellulare e pregare di chiamarlo con la bava alla bocca e altre schiumette indicibili da altre parti. Il principe azzurro di Amélie doveva assolutamente incontrarmi, non aveva mai conosciuto una come me, già.

 

Mi ero fatto raccontare davvero tutto, troppo, quando ci sei dentro non ti fermi più, inclusi gli incontri intimi con Amélie, dove d’altra parte volevo arrivare. Fu facile, frase dopo frase, come il gatto sul topo nella trappola di Facebook, fino all’ultimo amplesso tra loro la sera prima, tre giorni dopo il mio aut aut a Amélie, quando dissi «o me o lui», e lei scelse. Di Amélie, io che la adoravo, il principe azzurro scrisse a Eva che per lui non era un granché: non gli piacevano le tette, Amélie «si sarebbe dovuta fare una mastoplastica», e da nuda era troppo grassa, le piaceva più un’altra che stava vedendo contemporaneamente a Amélie, e un’altra ancora che stava vedendo contemporaneamente all’altra, e mi eiaculò fuori ogni particolare delle due scopate con Amélie, dicendo che era «brava a baciare e fare pompini» e impacciata sul resto, e soprattutto doveva «superare il tabù anale», cosa per lui fondamentale, e mi sentivo male a sentire queste cose di Amélie, e andai in bagno due volte a vomitare e però poi tornavo sulla chat di Facebook, io, Eva, più seduttiva che mai. Se avessi avuto una pistola e fossi stato dall’altra parte dello schermo gli avrei sparato senza pensarci, e invece gli dicevo: «Raccontami di più, mi interessano le tue storie». Giunto al limite della sopportazione salutai amabilmente la merda e feci un cut and paste della chat e la spedii a Amélie, che invece di inorridire mi scrisse «mi viene solo da ridere». Non lo volle più vedere, più per orgoglio che per sentito schifo, e io non volli più tornare con Amélie perché per me non era più Amélie. Ci siamo incontrati due volte, in seguito, per debolezza, poi non ce l’ho fatta più, sono sparito.

 

Mille nomi diversi

Nel frattempo ho creato altri account femminili su Facebook, diventando “amica” di ogni amico del principe azzurro, chattando perfino con l’algerina che il principe azzurro si è scopato ogni notte mentre era a Lisbona per quattro giorni, quando chiamava Amélie ininterrottamente, per tenersela calda al ritorno. Ho circoscritto e annotato ogni informazione seducendo gli amici del principe azzurro per sapere cosa sapevano, fino a arrivare al racconto del loro primo incontro, stavolta raccontato da terzi, alla volgare scommessa fatta su Amélie e una teoria precisa del gruppetto sulle donne che «danno il culo» a chiunque con il giusto rapido corteggiamento, «dopo la terza uscita», e valeva anche con una ragazza così pulita come era Amélie per me, e mi venne il disgusto del sesso.

 

Infine, non sapendo più cosa fare per uscire dalla mia stessa trappola, non avendo più cenni da Amélie (non era lei che mi amava e io che le volevo “solo” bene?), sono diventato io Amélie su Facebook, creando una pagina identica alla sua e facendomi “amico” di molti suoi amici, finché Amélie, quella vera, non contatta Amélie, quella falsa, e siamo lì entrambe, Amélie contro Amélie, faccia a faccia, Facebook to Facebook, impressionante.

 

Solo che Amélie, dopo due mesi d’assenza, di fronte a questo happening d’autore e di uomo devastato, minaccia di denunciarmi. «Domani ti denuncio, mi sono informata, spacciarsi per una persona che non si è, è reato». «E quindi denunci te stessa?» rispondo. Ma lei insiste, «Domani ti denuncio». «Fai pure, quelli come te fanno tanto gli alternativi ma poi farebbero chiudere il Cabaret Voltaire per schiamazzi notturni» e all’improvviso, nei dadaistici panni dell’Amélie finta, mi rendo conto del triste risvolto dell’Amélie vera, quella pochezza intellettuale e bovaristica come perfetto pendant dell’illusione d’amore per il principe azzurro di merda, e quanto il mio dolore per il “solo” bene fosse superiore al suo costruito dolore per un bisogno astratto d’amore, di verità falsa ma confezionata come un mazzo di fiori gialli con pon-pon.

 

Così chiudo i battenti, cancello i miei dodici account e torno a essere Massimiliano Parente, non solo lo scrittore ma anche, per disperazione, un artista nella vita che rifuggo per scrivere, e cancello lei da me stesso, ridotta alla pochezza di un «ti denuncio», a fronte dei miei due mesi di inferno su Facebook, finalmente non sento più niente, perché la banalità è peggiore di qualsiasi reazione estrema, reale o virtuale che sia. Quanto al principe azzurro, lo ammetto, se dovessi incontrarlo nella vita reale, io lo uccido lo stesso, ma solo perché sparisca da Facebook.

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