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INTERVISTA CON CRISTIANO SANDRI

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INTERVISTA CON CRISTIANO SANDRI.... l'intervista é stata realizzata da Tonino Cagnucci per "Il Romanista"...

 

"La morte non è niente, io sono andato semplicemente nella stanza accanto. Io sono io, voi siete voi. Per voi, io sarò sempre ciò che sono stato. Datemi sempre il nome che mi avete dato, parlatemi come avete sempre fatto. Non usate un tono diverso, non assumete un’aria austera o triste. Continuate a ridere di ciò che ci ha fatto sempre ridere. Pregate, sorridete, pensate a me, che il mio nome sia pronunciato in casa come è sempre accaduto senza alcuna enfasi, senza una traccia d’ombra. Il senso della vita è sempre lo stesso. Il filo non si è interrotto. Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri semplicemente perché sono fuori dalla vostra vita? Io non sono lontano, sono solamente dall’altro lato della strada".

Dall’altro lato della strada c’è il negozio della famiglia Sandri. Il fratello Cristiano e il papà Giorgio raccontano di Gabriele e di un omicidio che nelle cronache è quasi dimenticato, confuso, più o meno strumentalizzato; che nelle aule giudiziarie deve ancora fare il suo corso e che non sia lungo, possibilmente corto. Tirano fuori quelle parole che dentro non finiscono mai. Non smettono. Insieme alle domande. Le risposte devono essere ancora date. Troppe. In ritardo. Inutili. Dovute. Si parla di Gabriele Sandri perché è giusto così, perché non si può dimenticare, perché glielo chiedi, perché altrimenti loro non lo farebbero tanto per farlo. Ovvio. Santo. C’è tanto silenzio e non c’è nemmeno sole alla Balduina ieri. Ieri è ancora come l’altro ieri. Dall’altra parte della strada Cristiano è diventato più grande dei suoi 33 anni, il papà entra un po’ più tardi prima di chiudere il mondo fuori. Lì, dall’altro lato della strada. Prima di tutto c’è sempre quella carreggiata, poi la notizia e come è stata raccontata.

- Cristiano Sandri quali sono le parole che ancora vanno dette.

- «Voglio dire quello che avevo in testa i primi giorni dopo l’omicidio di mio fratello, far presente meglio tutto quel bailamme mediatico e la strumentalizzazione che hanno fatto della morte di Gabriele: hanno parlato di violenza nel calcio, di decreti, di scontri, hanno richiamato il caso Raciti ma Gabriele con tutto questo non c’entra niente. Hanno ucciso un ragazzo e hanno provato a nasconderlo. Già dall’inizio».

- Per come è stata diffusa la notizia?

- «Per quello, perché non hanno fermato il campionato, per quello che è stato sostenuto in una conferenza stampa talebana dal questore di Arezzo dove è stato impedito ai giornalisti di fare domande, per quello che si diceva ancora il giorno dopo in Parlamento: si sosteneva la tesi incredibile di un colpo sparato in aria, si prendeva tempo».

- Perché?

- «La discriminante è la divisa. Il fatto che ci fossero di mezzo le istituzioni in un delitto talmente grave, così grave, ha fatto sì di cercare fino alla fine di nasconderlo, di salvare il salvabile. Ma non c’era più niente da salvare. Hanno fatto emergere un’immagine distorta di quello che era accaduto, hanno parlato di terrorismo... una cosa simile è degna dei peggiori regimi dittatoriali. "Caso Sandri: arrestati i terroristi". In Italia è andata così, all’estero la BBC ha aperto: "Poliziotto uccide a sangue freddo un tifoso". Non è un titolo, né una forzatura, è stata la realtà».

- Adesso, da tempo, se ne parla poco.

- «Adesso c’è silenzio. Assordante. Eppure una notizia così andrebbe sviscerata da tutti i punti di vista, andava trattata dai vari Porta a porta e Matrix che, a parte l’immediatezza della notizia, a parte l’audience che facevano all’istante, non hanno detto più niente. Oblio».

- Quanto voluto?

- «O voluto o dettato dalla tirature di copie, dallo share. Ma com’è possibile che le armi si usino così? Come non parlarne? Come non sviscerare una notizia così grave? Così grande nella sua gravità?. Io ho ringraziato personalmente il testimone che ha raccontato di aver visto quel signore mettersi in posizione per prendere la mira perché altrimenti ho paura che ancora oggi staremmo a parlare di colpi sparati in aria. Ho detto che il silenzio è assordante perché lo abbiamo ascoltato in prima persona, soprattutto qualche giorno fa».

- Qualche giorno fa sono uscite delle perizie...

- «Già, parliamo di perizie e di accertamenti tecnici: questo signore, questo agente, ha avuto la voglia di sparare. Per quanto riguarda la tesi della deviazione della pallottola, l’unica che potrà sostenere la difesa, gli accertamenti che sono stati depositati riguardano gli elementi chimici rinvenuti sul proiettile per vedere appunto se ha toccato qualche colpo estraneo prima di uccidere Gabriele. Dalla relazione del consulente del pubblico ministero, quindi non il nostro, emerge che non ci sono elementi che possano indicare l’impatto con un corpo diverso. Noi questa relazione l’avevamo in mano da venti giorni, ma ci dicevamo: "Ora se ne occuperà la stampa, adesso arriverà la televisione", invece se non fossimo stati noi a fornire un’indicazione del genere non se ne sarebbe parlato per quel po’ che si è tornato a fare. Non se ne sarebbe parlato per niente».

- Fa aumentare la rabbia?

- «Sì, perché ti trovi impotente... Noi ci troviamo in difficoltà perché non vorremmo emergere come quelli che forniscono le informazioni alla stampa o che vanno per televisioni, però... Dopo due giorni avremmo potuto lanciare un’agenzia, ne abbiamo aspettati venti».

- Il presidente Napolitano nel suo messaggio di fine anno non ha ricordato Gabriele, ve l’aspettavate?

- «Il presidente Napolitano è stata la seconda persona dopo Veltroni a farsi vivo con noi, e si è fatto sentire veramente. Ci ha detto di essere rimasto sgomento per un evento del genere, ha parlato di gravità estrema. Il presidente non ha parlato di generica violenza negli stadi come hanno fatto certi media, cercando l’orribile equazione: è stato ucciso un poliziotto, poi un tifoso... »

- Invece...

- «Invece il calcio non c’entra niente. Che quei ragazzi andavano a vedere la Lazio a Milano si è saputo dopo. Chi ha sparato a 60 metri, con le auto che passavano, coi ragazzi che non avevano né sciarpe né bandiere, non sapeva fossero tifosi. E’ stato un atto di volontà di uno scellerato, di un delinquente, come ha avuto modo di dire il procuratore capo di Arezzo, non io».

- Ci sono sentimenti di rabbia nei confronti delle forze dell’ordine?

- «Noi non vogliamo generalizzare, capiamo bene che non tutti gli ambienti sono uguali, che ogni categoria ha i suoi interpreti. Proprio per questo chi ha sbagliato deve pagare. Abbiamo avuto la visita del capo della polizia, il dottor Manganelli, che ha ammesso la responsabilità di quell’appartenente alle forze dell’ordine»

- Avete amici poliziotti?

- «Sì, ne abbiamo anche come amici di famiglia».

- Come si sono posti?

- «Con difficoltà , non si spiegavano, non si spiegano come sia potuto accadere una cosa simile, un gesto così sconsiderato: un’arma un poliziotto la deve usare perché è in pericolo la vita propria o quella degli altri. Basta».

- Non sono state prese alcune misure cautelari nei confronti dell’agente Spaccarotella.

- «Questo signore è a piede libero. Tutti quanti si sono sbrigati a dire, giustificando col ritornello "l’inquinamento della prova, reiterazione del reato, pericolo di fuga... non ci sono gli estremi per..." Beh... Per l’inquinamento della prova non è stato detto nulla sul fatto che la zona in cui ha sparato il poliziotto non è stata posta sotto sequestro, dei due colpi che sono stati sparati, caso strano, è stato rinvenuto soltanto il bossolo del proiettile che secondo loro è stato sparato in aria, e non quello che invece ha raggiunto mio fratello. Per quanto riguarda la reiterazione del reato... uno che prende un’arma e spara con questa facilità si può immaginare anche che un giorno esca di casa e dia una bastonata in testa a qualcuno. Ecco, facciamolo qui il parallelismo con il caso del povero Raciti dove il minore indagato è stato raggiunto dalla custodia cautelare. E non c’entrava. "La legge è uguale per tutti", c’è scritto sui banchi delle aule di giustizia. Dovrebbe. E dovrebbe far riflettere».

- Il tempo che variabile è adesso?

- «Noi confidiamo nella celerità del procedimento, a febbraio verranno depositate le ultime relazioni sugli accertamenti disposti dal pubblico ministero, e da lì a poco attendiamo che il pm concluda le indagini e richieda il rinvio a giudizio del poliziotto. Noi immaginiamo in primavera, inizio estate. Non vorremmo che questo silenzio, quest’annacquamento sia l’ombrello sulla notizia perché così quando si arriverà al verdetto magari la posizione dello Spaccarotella venga in qualche modo affievolita».

- Quale verdetto sarebbe "affievolito"?

- «Per il reato di cui si è macchiato questo individuo il codice penale prevede 21 anni di carcere. Non un giorno di meno».

- Non un giorno di meno.

- «Non cerco e non cerchiamo vendetta. Ma giustizia giusta. Ci aspettiamo questo giudizio, non un colpo di spugna, né operazioni di ortopedia giuridica per alleggerire la posizione dell’agente che comunque, a mio avviso, sarà molto difficile effettuare».

- Spaccarotella, un giorno lo incontrereste?

- «No, e io non lo voglio incontrare per il resto della mia vita».

- Il perdono?

- «In questo momento non ci sono proprio i presupposti per perdonare una persona che senza criterio ha avuto la voglia di ammazzare».

- (Interviene il papà): «Una persona che qualche ora dopo aver commesso il fatto ha detto bugie e ha risposto al citofono a voi giornalisti: "Fatemi vivere tranquillo". Come si fa poche ore dopo quello che hai fatto a dire "fatemi vivere tranquillo". Come si fa?».

- Tra le tante cose dette, invece quella più importante, quella più bella, più giusta?

- «Ciò che ci ha detto Napolitano, il presidente della Repubblica: "Starò sempre al vostro fianco". E poi la gente. L’affetto della gente è più forte di ogni strategia comunicativa, più forte del silenzio. La vicenda ha colpito tutti quanti, perché tutti quanti hanno vissuto la possibilità di avere in quella macchina il proprio figlio, il proprio fratello, il proprio amico. Ci sosterranno anche in futuro per quello che sarà una vicenda che purtroppo durerà nel tempo dal punto di vista giudiziario. In questo, però, sono abbastanza tranquillo: ogni persona non si dimenticherà di questo fatto, ogni persona farà in modo di far trionfare la giustizia giusta. Perché è inaccettabile tutto. Gabriele Sandri dev’essere un momento di riflessione per tutta la società civile».

- Quello che ha ferito di più?

- (Interviene il papà): «Quando il ministro Amato ha detto che se si prendevano due caffé all’autogrill non sarebbe successo».

- «La gestione della notizia, non solo nell’immediato ma due-tre giorni dopo, il fatto che ancora adesso tutti i responsabili siano a loro posto. Magari al poliziotto hanno cambiato mansione per evitare di andare a sparare in giro, ma sta al suo posto; il questore di Arezzo che ci ha regalato quelle dichiarazioni mostruose che hanno ammazzato Gabriele una seconda volta, sta ancora lì, come se non fosse successo nulla. Non so se tutto questo sia stato voluto per non far esplodere la situazione, alzato un polverone apposta: la menzogna dei colpi in area, il no-stop al campionato quando il fatto è avvenuto alle 9.18 e c’era tutto il tempo. Tutto il tempo perché si scatenasse quello che è capitato».

- Si è lasciato scatenare?

- «Sì, per spostare l’attenzione lontano da quello che è successo. Tutti sapevano nessuno ha fatto nulla, tutti sapevano, nessuno ci ha detto niente. Gabriele aveva i documenti con sé, sapevano chi era, dove abitava e non ci hanno nemmeno chiamato».

- Come l’avete saputo?

- «A me ha chiamato un amico-collega avvisato da un altro ragazzo, era attorno a mezzogiorno. Dopo mille chiamate per rintracciare il numero di casa (avevo il cellulare spento perché scarico quel giorno) mi ha detto: "Vai ad Arezzo", ma non perché. Mi ha detto: "Però fatti accompagnare", e lì ho capito che era successo qualcosa di brutto. Poi ho chiamato un altro amico per farmi accompagnare ed è lui che mi ha raccontato: "Hai sentito quello che è successo ad Arezzo? E’ stato ucciso un tifoso della Lazio". Mentre andavo, la radio mi ha detto nome e cognome. Mio fratello».

- "Mio fratello". Gabriele Sandri, un ragazzo ucciso nella sua auto mentre andava a vedere la Lazio. "Mio fratello". Cristiano Sandri è un tifoso?

- «Da 33 anni, sono nato nel ’74, sono della Lazio. Mio padre è tifoso della Lazio, è lui che mi ha portato a vederla quand’ero piccolissimo. Me lo ricordo, era lo stadio di Pisa, una partita di Coppa Italia, avrò avuto sì e no 5 anni . Era sera, c’erano le luci. Più che altro ho immagini di quello stadio. Sono stato abbonato in curva dai miei 16 anni anni fino a i 30, poi, così come va per molti altri che hanno vissuto lo stadio, gli amici si sono spostati in tribuna e con loro anch’io. Mio fratello invece continuava ad andare »

- Sei più tornato allo stadio?

- «No, da quel giorno no».

- Hai intenzione di farlo?

- «Sì, perché ho quasi l’impressione che tornandoci fisicamente ci posso riportare anche mio fratello. Certo, quando mi sentirò di affrontare questo... A parte vedere una Curva, la Curva Nord intitolata a Gabriele Sandri fa...Fa».

- A Badia al Pino sei più tornato?

- «Quando abbiamo fatto i sopralluoghi per le perizie, ho visto non proprio il punto, ma dove hanno messo le sciarpe: i colori di tutte le squadre».

- Per certi versi veramente un monumento, non solo simbolico. La morte di Gabriele potrebbe...

- «Ho sentito tanti amici, tifosi della Lazio, tifosi della Roma, la morte di Gabriele ha dato una nuova consapevolezza di valori in tanti. La consapevolezza del valore della vita che mai può essere messo in discussione, né a rischio».

- La morte di Gabriele può far cambiare in meglio le cose del calcio e quindi anche quelle della vita?

- «Sì, è giusto parlare di sacrificio per mio fratello. Dalla sua morte non ho più sentito parlare di episodi di violenza negli stadi. Si deve parlare di sacrificio perché Gabriele possa venir preso sempre a simbolo per situazioni positive, in tutte, non solo nel calcio. Per questo ogni situazione a lui legata dovrà essere ricordata per l’alto valore della vita che rappresenta. Ogni iniziativa fatta sarà in tal senso: il valore stesso della vita».

- Per il prossimo derby s’era parlato di fare qualcosa, avete pensate voi a qualcosa?

- «Sì, il prossimo derby potrebbe essere un’occasione importante per dimostrare una presa di coscienza di tutti i tifosi, nella circostanza della Roma e della Lazio, ma non solo loro. Purtroppo quando si parla di tifosi lo si fa come ci si riferisse a una categoria di sottosviluppati e non di cittadini, di essere pensanti. Non so se io... sarebbe un’occasione importante. L’ultimo derby l’ho visto proprio con Gabriele ... Potrebbe essere un’occasione anche per me».

-(Interviene il padre): «Io vorrei andare in Curva Sud. Come facevi un tempo con gli amici, a giocare a scopetta prima. Io vorrei andare a vedere il derby in Curva Sud».

- Tuo fratello lo definiresti un ultrà?

- «Anche io, e non solo mio fratello, mi posso definire un ultras, anche mio padre si può definire un ultras, anche tu se lo sei per la Roma. La parola ultras è sentita solo con un’accezione negativa e invece non è così: è il modo più bello di seguire la squadra del cuore ovunque essa giochi, fattivamente, incitandola. Creando quelle amicizie che sono poi la cosa più bella nel seguire questa passone. La goliardia, i sorrisi, i viaggi, la spensieratezza con cui si va allo stadio, oltre che per vedere la partita della squadra del cuore, per lo stare con gli altri, con gli amici e con chi non conosci ma che abbraccerai. Per viaggiare, una giornata insieme, a pranzo come sarebbe capitato a Gabriele se non fosse stato fermato prima... Di andare a vivere. Ad essere così vitali come accade. E la Curva secondo me è una delle massime espressioni nel calcio, il sentimento più alto».

- I gruppi ultras della Roma hanno "scioperato" anche perché Gabriele Sandri il sistema se lo era dimenticato...

- «Il fatto che si muovano i tifosi o solo qualche giornalista sportivo deve far pensare. Loro, o chi nello stadio è rimasto in silenzio, chi nel mondo ha ricordato Gabriele, sono gli unici che hanno individuato il nocciolo del problema, ed è stato sicuramente un modo civile. Si parla sempre e solo in negativo dei tifosi, degli ultras, poi quando fanno iniziative, o vengono dimenticate o strumentalizzate per coglierci il lato che non va bene».

- Una volta si cantava 10-100-1000 Paparelli, adesso si cantano i cori per Gabriele Sandri.

- «Ecco che significa Gabriele. E’ un’evoluzione culturale che dovrebbe parlare a molti, che aiuta a far capire certi fenomeni, perché per me quello della violenza negli stadi può essere risolto. La presa di posizione dei tifosi è importante, i tifosi sono persone che hanno una loro intelligenza, che non si fanno condizionare, che non mandano il cervello all’ammasso, ma che vengono dipinti come massa indistinta».

- Perché?

- «Una forma di controllo. Quando vieni toccato da un fatto del genere pensi a tutto quanto, ti poni tante domande e cerchi di capire per quale motivo si voglia responsabilizzare oltremodo il mondo del calcio e dei tifosi su questioni che dovrebbero essere affrontate diversamente dalla società e dalle istituzioni, e non unicamente con la repressione, con il pugno duro. Dove c’è la repressione c’è la reazione, guarda i rapporti tra padre e figlio: non puoi pensare a punire se non pensi prima di approfondire il rapporto e i suoi motivi».

- Se un giorno avessi dei figli...

- «Li manderei in curva. Io mi ricordo quando andavo in curva quattro ore prima, l’emozione che mi dava il fatto di poter cantare per la mia squadra, poterla sostenere. È una cosa bellissima perché ti senti partecipe di una comunità autentica, semplice ma forte. Forse veramente lo stadio, e la curva in particolare, è l’unico posto in cui certi ostacoli, certe barriere cadono, il posto più trasversale che ci sia: nessuna differenza di ceto, di istruzione, di professione, di religione. Proprio per questo, visto il modo così genuino e del tutto spontaneo di vivere il calcio e in definitiva la vita, io posso dire che se avrò dei figli sicuramente li manderò in curva. Sempre se lo vorranno».

- Sempre laziali eh?

- «Po’ esse solo quello».

- Quello che conta è un altro. E’ quel nome, Gabriele Sandri, e quel monumento di sciarpe all’autogrill di Badia al Pino...

- «Una Fondazione. Stiamo studiando e lavorando per far nascere una Fondazione. A breve ci incontreremo col sindaco e col suo staff per poter organizzare una situazione effettiva e concreta, una Fondazione perché il nome di Gabriele possa essere associato a iniziative benefiche e di costruzione sociale, che comunque possano portare a qualcosa del positivo, possano aiutare chi ne ha bisogno. Si tratta di un’iniziativa impegnativa che dovrà essere strutturata in modo minuzioso e valido».

- A Gabriele come piacerebbe essere ricordato?

- «Gabriele era il prototipo del ragazzo gioioso, che guardava alla vita unicamente dal lato positivo, quindi sicuramente con un sorriso. Vorrebbe essere ricordato col sorriso che lo contraddistingueva. E questo, come famiglia, cerchiamo di riproporcelo sempre, ogni volta. E come puoi immaginare non è facile. Perché la sua mancanza è talmente tanto grande e profonda che a volte sorridere fa tanto male».

- Ti è capitato di sognarlo?

- «Ancora no, un sogno così bello ancora non sono riuscito a farlo».

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un applauso al fratello di Gabbo.

Si chiede solo giustizia e un trattamento paritario...vedemo se usate il pugno duro anche contro una divisa

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èun sogno antiracism che non si avvererà. La dimostrazione ce la da il fatto che per Raciti si fecero tre mesi di trasmissioni e la vedova allegra ancora parla in tv soprattutto dopo essersi intascata più di un milione d'euro delle donazioni che fecero i vari organi di stampa cosa che per Gabbo non è stata fatta.

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sono consapevole del fatto che purtroppo sarà come dici tu :ph34r::(

questa è l'italia

Modificato da ANTIRACISM

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basta poi vedere le differenze

caso Catania: ne dovevano arrestare una su 500 (che poi si è saputo che era una divisa anche li) e ne hanno arrestati 50 per non sbagliare in 24 ore

caso Gabbo: ne dovevano arrestare uno già individuato con testimonianze chiare e concise che non si trattava di errore e a distanza di mesi quello ancora se la spassa in giro con la sua scintillante divisa.

caso Furlan: colui o coloro che hanno ucciso di botte il povero stefano ultras triestino ora sta bel bello a reclutare le nuove reclute magari insegnando loro come si ammazza e non si è puniti

caso Ercolano: nessuno ha mai pagato

caso Diego di Brescia ( fortunatamente uscito dal coma): stiamo ancora aspettando giustizia

caso Gianluca di Napoli: nessuno ha mai sparato quel lacrimogeno però lui in coma c'è finito

caso Colombi: nessuno ha mai pagato per un omicidio

 

tanti e tanti altri casi mai risolti o mai voluti risolvere questa è la giustizia in Italia

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caso Catania: ne dovevano arrestare una su 500 (che poi si è saputo che era una divisa anche li) e ne hanno arrestati 50 per non sbagliare in 24 ore

caso Gabbo: ne dovevano arrestare uno già individuato con testimonianze chiare e concise che non si trattava di errore e a distanza di mesi quello ancora se la spassa in giro con la sua scintillante divisa.

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28 Aprile 1963. Giuseppe Plaitano, 48enne tifoso della Salernitana, è il primo morto da stadio in seguito ai sanguinosi scontri tra la polizia e i tifosi. Il pubblico del Vestuti invade il campo e dà inizio ad una guerriglia che coinvolge le due tifoserie e la polizia. Un poliziotto spara e il colpo raggiunge la tribuna, dove è seduto Plaitano. Dopo pochi giorni il "caso" viene archiviato. La versione? Il decesso viene attribuito a un collasso cardiaco o allo schiacciamento del torace. Un club ultras salernitano è a lui intitolato.

 

 

8 febbraio 1999. Maurizio Alberti, tifoso pisano, viene colto da infarto nello stadio di La Spezia. I tifosi sugli spalti avvisano autorità e soccorritori del malore ma sia gli uni che gli altri decidono di non prestargli attenzione in quanto scambiato per un tossico in preda ad astinenza. Quando viene accertato l’infarto partono i soccorsi ma è troppo tardi. Nonostante le proteste e le iniziative degli ultrà e della famiglia, nessuna responsabilità è mai stata accertata. Nella nord capeggia ormai da anni lo striscione “Mau ovunque”.

 

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28 Aprile 1963. Giuseppe Plaitano, 48enne tifoso della Salernitana, è il primo morto da stadio in seguito ai sanguinosi scontri tra la polizia e i tifosi. Il pubblico del Vestuti invade il campo e dà inizio ad una guerriglia che coinvolge le due tifoserie e la polizia. Un poliziotto spara e il colpo raggiunge la tribuna, dove è seduto Plaitano. Dopo pochi giorni il "caso" viene archiviato. La versione? Il decesso viene attribuito a un collasso cardiaco o allo schiacciamento del torace. Un club ultras salernitano è a lui intitolato.

 

 

8 febbraio 1999. Maurizio Alberti, tifoso pisano, viene colto da infarto nello stadio di La Spezia. I tifosi sugli spalti avvisano autorità e soccorritori del malore ma sia gli uni che gli altri decidono di non prestargli attenzione in quanto scambiato per un tossico in preda ad astinenza. Quando viene accertato l’infarto partono i soccorsi ma è troppo tardi. Nonostante le proteste e le iniziative degli ultrà e della famiglia, nessuna responsabilità è mai stata accertata. Nella nord capeggia ormai da anni lo striscione “Mau ovunque”.

 

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ci metterei anche il caso di Federico Aldrovandi che con lo stadio non centra niente ma ammazzato da "qualcuno" che non ha mai pagato.

Vi racconto anche un altro fatto che ha visto come protagonista gli ultras del Rimini, molti anni fa un loro fratello (Caruso) morì sembra per droga da quel giorno nella curva romagnola venne esposto sempre lo striscione Caruso nei nostri cuori un po come facevamo noi per Cocco e Fe ultras indimenticabili e indimenticati e voi per Spik tanto per fare degli esempi. Subito dopo i fatti di Catania lo strscione non venne fatto entrare non tanto perchè non era stato richiesto il permesso ma perchè secondo le menti malate della questura riminese quello striscione incitava all'uso di droghe e mitizzava un ragazzo che ne aveva fatto uso. A quel punto gli ultras riminesi invece di andare allo stadio fecero un corteo pacifico per la città informando a tutti i cittadini il perchè di quella protesta. Proprio a causa di quel corteo che sollevò sdegno in tutta la città la questura ha emesso 20 diffide a chi lo ha organizzato (premetto che niente fu rotto in quel corteo nessuno fu toccato)

Modificato da granata100

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caso Furlan: colui o coloro che hanno ucciso di botte il povero stefano ultras triestino ora sta bel bello a reclutare le nuove reclute magari insegnando loro come si ammazza e non si è puniti

caso Ercolano: nessuno ha mai pagato

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28 Aprile 1963. Giuseppe Plaitano, 48enne tifoso della Salernitana, è il primo morto da stadio in seguito ai sanguinosi scontri tra la polizia e i tifosi. Il pubblico del Vestuti invade il campo e dà inizio ad una guerriglia che coinvolge le due tifoserie e la polizia. Un poliziotto spara e il colpo raggiunge la tribuna, dove è seduto Plaitano. Dopo pochi giorni il "caso" viene archiviato. La versione? Il decesso viene attribuito a un collasso cardiaco o allo schiacciamento del torace. Un club ultras salernitano è a lui intitolato.

 

 

8 febbraio 1999. Maurizio Alberti, tifoso pisano, viene colto da infarto nello stadio di La Spezia. I tifosi sugli spalti avvisano autorità e soccorritori del malore ma sia gli uni che gli altri decidono di non prestargli attenzione in quanto scambiato per un tossico in preda ad astinenza. Quando viene accertato l’infarto partono i soccorsi ma è troppo tardi. Nonostante le proteste e le iniziative degli ultrà e della famiglia, nessuna responsabilità è mai stata accertata. Nella nord capeggia ormai da anni lo striscione “Mau ovunque”.

 

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ci metterei anche il caso di Federico Aldrovandi che con lo stadio non centra niente ma ammazzato da "qualcuno" che non ha mai pagato.

 

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senza dubbio, povero ragazzo.... :(:angry::angry::angry::angry:

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un applauso al fratello di Gabbo.

Si chiede solo giustizia e un trattamento paritario...vedemo se usate il pugno duro anche contro una divisa

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èun sogno antiracism che non si avvererà. La dimostrazione ce la da il fatto che per Raciti si fecero tre mesi di trasmissioni e la vedova allegra ancora parla in tv soprattutto dopo essersi intascata più di un milione d'euro delle donazioni che fecero i vari organi di stampa cosa che per Gabbo non è stata fatta.

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sono consapevole del fatto che purtroppo sarà come dici tu :ph34r::(

questa è l'italia

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basta poi vedere le differenze

caso Catania: ne dovevano arrestare una su 500 (che poi si è saputo che era una divisa anche li) e ne hanno arrestati 50 per non sbagliare in 24 ore

caso Gabbo: ne dovevano arrestare uno già individuato con testimonianze chiare e concise che non si trattava di errore e a distanza di mesi quello ancora se la spassa in giro con la sua scintillante divisa.

caso Furlan: colui o coloro che hanno ucciso di botte il povero stefano ultras triestino ora sta bel bello a reclutare le nuove reclute magari insegnando loro come si ammazza e non si è puniti

caso Ercolano: nessuno ha mai pagato

caso Diego di Brescia ( fortunatamente uscito dal coma): stiamo ancora aspettando giustizia

caso Gianluca di Napoli: nessuno ha mai sparato quel lacrimogeno però lui in coma c'è finito

caso Colombi: nessuno ha mai pagato per un omicidio

 

tanti e tanti altri casi mai risolti o mai voluti risolvere questa è la giustizia in Italia

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28 Aprile 1963. Giuseppe Plaitano, 48enne tifoso della Salernitana, è il primo morto da stadio in seguito ai sanguinosi scontri tra la polizia e i tifosi. Il pubblico del Vestuti invade il campo e dà inizio ad una guerriglia che coinvolge le due tifoserie e la polizia. Un poliziotto spara e il colpo raggiunge la tribuna, dove è seduto Plaitano. Dopo pochi giorni il "caso" viene archiviato. La versione? Il decesso viene attribuito a un collasso cardiaco o allo schiacciamento del torace. Un club ultras salernitano è a lui intitolato.

 

 

8 febbraio 1999. Maurizio Alberti, tifoso pisano, viene colto da infarto nello stadio di La Spezia. I tifosi sugli spalti avvisano autorità e soccorritori del malore ma sia gli uni che gli altri decidono di non prestargli attenzione in quanto scambiato per un tossico in preda ad astinenza. Quando viene accertato l’infarto partono i soccorsi ma è troppo tardi. Nonostante le proteste e le iniziative degli ultrà e della famiglia, nessuna responsabilità è mai stata accertata. Nella nord capeggia ormai da anni lo striscione “Mau ovunque”.

 

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ci metterei anche il caso di Federico Aldrovandi che con lo stadio non centra niente ma ammazzato da "qualcuno" che non ha mai pagato.

 

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senza dubbio, povero ragazzo.... :(:angry::angry::angry::angry:

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viviamo in uno stato di polizia

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Il racconto della testimone dell'omicidio del tifoso laziale, ucciso sulla A1

"Puntò la pistola verso quell'auto. La teneva con entrambe le mani. Poi sparò"

 

Sandri, la superteste giapponese :"L'agente mirò per 10 secondi"

 

dal nostro inviato MARINO BISSO repubblica.it

 

AREZZO - "Quel poliziotto prima di sparare puntò l'arma e prese la mira per dieci secondi...". È l'accusa della supertestimone dell'omicidio di Gabriele Sandri. Ma non solo: cinque giorni prima aveva superato con giudizio positivo l'addestramento al poligono di tiro. Era il 6 novembre 2006, qualche giorno dopo, domenica 11, l'agente della polstrada Luigi Spaccarotella estrasse la pistola d'ordinanza e sparò contro l'auto con a bordo Gabriele Sandri uccidendo il 28enne tifoso della Lazio.

"Non fu un colpo accidentale. Quell'agente mirò prima di premere il grilletto" hanno sempre sostenuto i famigliari di Sandri, assistiti dall'avvocato Michele Monaco. Una ricostruzione fatta propria dal pm Giuseppe Ledda che, a chiusura delle indagine, ha confermato l'imputazione di "omicidio volontario". Una conclusione basata su alcune dichiarazioni. Ad accusare il giovane poliziotto sono due donne e in particolare un'operatrice turistica giapponese che per caso quella domenica si trovava nell'area di servizio di Badia al Pino sull'A1, vicino ad Arezzo. Keiko H., 42 anni, è la supertestimone dell'inchiesta sull'uccisione di "Gabbo". Il 15 novembre ha raccontato la sua verità agli investigatori della guardia di finanza e ora le sue dichiarazioni sono finite tra le migliaia di pagine depositate dalla Procura di Arezzo.

"Dopo aver fatto colazione - si legge sul verbale - uscivo dall'autogrill per fumare una sigaretta nel piazzale antistante. All'improvviso sentii uno sparo. Ma non capivo la provenienza. Vidi allora dei ragazzi, dall'altra parte dell'autostrada, scappare e correre verso delle autovetture. Successivamente vidi i due poliziotti correre verso di me e in particolare uno dirigersi verso l'estremità del piazzale mentre dall'altra parte i ragazzi salivano su un'autovettura di colore chiaro. Il poliziotto dopo essersi fermato puntava una pistola tenendola con entrambe le mani protese in direzione dell'autovettura e dopo circa dieci secondi sparava. Ricordo bene il momento dello sparo: l'autovettura era in movimento e anche dopo proseguiva la marcia. A quel punto, impaurita, mi sono recata verso il pullman sul quale viaggiavo".

La versione della giovane giapponese trova conferma anche dal racconto da una cassiera dell'autogrill. La donna però riferisce di aver sentito uno solo sparo. "All'interno del market un mio collega aiutava a fare delle fotocopie, dopo alcuni minuti l'agente è uscito. Dopo un quarto d'ora udivo il suono di una sirena. Allora uscivo dal locale e vidi che c'erano due auto della polizia. Nell'area di servizio opposta vedevo delle persone correre con in mano dei bastoni o qualcosa di simile e raggiungere un'autovettura e saliti a bordo partire in direzione nord".

La dipendente dell'autogrill racconta poi il momento dello sparo. "In quell'istante uno dei poliziotti mi è passato davanti. Giunto alla fine del guardrail, all'altezza di un cumulo di terra smossa, ha disteso entrambe le mani impugnando la pistola. Ha aspettato che quell'auto imboccasse la rampa che da accesso all'autostrada e poi ho udito un colpo di pistola. E mentre l'auto continuava il suo viaggio, il poliziotto è tornato sui suoi passi, sempre correndo, e ha raggiunto i suoi colleghi". E ancora: "Non ho notato assolutamente se il poliziotto durante la corsa, sia all'andata che al ritorno, avesse in mano una pistola che, ripeto, gli ho visto impugnare solo poco prima della sparo".

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Il racconto della testimone dell'omicidio del tifoso laziale, ucciso sulla A1

"Puntò la pistola verso quell'auto. La teneva con entrambe le mani. Poi sparò"

 

Sandri, la superteste giapponese :"L'agente mirò per 10 secondi"

 

dal nostro inviato MARINO BISSO repubblica.it

 

AREZZO - "Quel poliziotto prima di sparare puntò l'arma e prese la mira per dieci secondi...". È l'accusa della supertestimone dell'omicidio di Gabriele Sandri. Ma non solo: cinque giorni prima aveva superato con giudizio positivo l'addestramento al poligono di tiro. Era il 6 novembre 2006, qualche giorno dopo, domenica 11, l'agente della polstrada Luigi Spaccarotella estrasse la pistola d'ordinanza e sparò contro l'auto con a bordo Gabriele Sandri uccidendo il 28enne tifoso della Lazio.

"Non fu un colpo accidentale. Quell'agente mirò prima di premere il grilletto" hanno sempre sostenuto i famigliari di Sandri, assistiti dall'avvocato Michele Monaco. Una ricostruzione fatta propria dal pm Giuseppe Ledda che, a chiusura delle indagine, ha confermato l'imputazione di "omicidio volontario". Una conclusione basata su alcune dichiarazioni. Ad accusare il giovane poliziotto sono due donne e in particolare un'operatrice turistica giapponese che per caso quella domenica si trovava nell'area di servizio di Badia al Pino sull'A1, vicino ad Arezzo. Keiko H., 42 anni, è la supertestimone dell'inchiesta sull'uccisione di "Gabbo". Il 15 novembre ha raccontato la sua verità agli investigatori della guardia di finanza e ora le sue dichiarazioni sono finite tra le migliaia di pagine depositate dalla Procura di Arezzo.

"Dopo aver fatto colazione - si legge sul verbale - uscivo dall'autogrill per fumare una sigaretta nel piazzale antistante. All'improvviso sentii uno sparo. Ma non capivo la provenienza. Vidi allora dei ragazzi, dall'altra parte dell'autostrada, scappare e correre verso delle autovetture. Successivamente vidi i due poliziotti correre verso di me e in particolare uno dirigersi verso l'estremità del piazzale mentre dall'altra parte i ragazzi salivano su un'autovettura di colore chiaro. Il poliziotto dopo essersi fermato puntava una pistola tenendola con entrambe le mani protese in direzione dell'autovettura e dopo circa dieci secondi sparava. Ricordo bene il momento dello sparo: l'autovettura era in movimento e anche dopo proseguiva la marcia. A quel punto, impaurita, mi sono recata verso il pullman sul quale viaggiavo".

La versione della giovane giapponese trova conferma anche dal racconto da una cassiera dell'autogrill. La donna però riferisce di aver sentito uno solo sparo. "All'interno del market un mio collega aiutava a fare delle fotocopie, dopo alcuni minuti l'agente è uscito. Dopo un quarto d'ora udivo il suono di una sirena. Allora uscivo dal locale e vidi che c'erano due auto della polizia. Nell'area di servizio opposta vedevo delle persone correre con in mano dei bastoni o qualcosa di simile e raggiungere un'autovettura e saliti a bordo partire in direzione nord".

La dipendente dell'autogrill racconta poi il momento dello sparo. "In quell'istante uno dei poliziotti mi è passato davanti. Giunto alla fine del guardrail, all'altezza di un cumulo di terra smossa, ha disteso entrambe le mani impugnando la pistola. Ha aspettato che quell'auto imboccasse la rampa che da accesso all'autostrada e poi ho udito un colpo di pistola. E mentre l'auto continuava il suo viaggio, il poliziotto è tornato sui suoi passi, sempre correndo, e ha raggiunto i suoi colleghi". E ancora: "Non ho notato assolutamente se il poliziotto durante la corsa, sia all'andata che al ritorno, avesse in mano una pistola che, ripeto, gli ho visto impugnare solo poco prima della sparo".

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POLIZIOTTO PRIMO NEMICO

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