Vai al contenuto
mister

E' morto Bearzot

Messaggi raccomandati

Rip.

Troppo giovane allora per apprezzarne lo spessore professionale/sportivo...

 

Ma dalle pagine di "Storia" di quella italia si intuiva un personaggio tosto vero e genuino..

Insomma Uomini e Italiani molto diversi da quelli di oggi...

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
nel 78 giocavamo benissimo.

poi zoff prese due gol da lontano con l'olanda e non andammo in finale.

nel 1982 prime tre partite orribili, lui che continuava a far giocare rossi che pareva un cadavere e giornalisti che scrivevano e dicevano di tutto.

poi con argentina, brasile, polonia e germania fu un crescendo.

e rossi diventò pablito.

feste in piazza, bagni nelle fontane e partita a scopone di bearzot con zoff, pertini e causio in aereo al ritorno.

rip :(

1874557[/snapback]

Tra le tante immagini, sicuramente quella della partita a scopone in aereo di ritorno dalla Spagna riflette lo spessore di certi nostri connazionali che hanno nobilitato l'Italia in diversi ambiti e mi riferisco anche al presidente Pertini.

1874574[/snapback]

non fa una piega...

purtroppo

pertini-zoff-bearzot-cards.jpg

 

la zona pipa ora riposa in pace

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Che dire ... avevo 8 anni nell'82 ... ma erò già un piccolo malato di calcio !!!

Ricordo tutto il mondiale come se fossi ancora lì :)

C' era un' atmosfera "magica" in giro ... un' atmosfera che non ho mai più rivissuto e non perchè non fossi più bambino !!! ... e il 2006 avrei potuto godermelo di più data l' età più "matura" ma non aveva niente a che vedere con il " Mundial" :)

Chi ha vissuto quell ' inizio di Estate nell' 82 sa di cosa parlo :)

Riposa in Pace Enzo ... per Me resterai sempre l' allenatore dell ' ITALIA :)

Modificato da BRAVEHEART

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Mai più ci saranno emozioni per la nazionale come quelle che hai fatto vivere a noi ragazzini quindicenni di allora.

R.I.P. GRANDE ENZO E GRAZIE PER QUEI MOMENTI!

Modificato da crazy fan

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Avevo 14 anni nell'82. Italia-Brasile non la dimenticherò mai. Una partita leggendaria, molto più di Italia-Argentina o della finale. Nel corso degli anni ho rivisto quella partita diverse volte; l'ultima ieri sera. Per me è LA partita. Senza dubbio alcuno.

Nel 78, che ricordo bene, giocavamo alla grande ma ci mancava qualcosa. La voglia di vincere a tutti i costi. Che venne fuori proprio nell'82. Bearzot cementò la squadra contro tutti: ricordo che i i giornali scrissero della storia gay tra Paolo Rossi e Cabrini (che dormivano nella stessa camera), delle storie del calcio scommesse dell' 80, etc....

Bearzot fece giocare Rossi al posto di Pruzzo, che non portò mai in nazionale e che era sempre il capocannoniere della serie A. E portò Bergomi, che aveva 17 anni! (falla adesso una cosa del genere....).

Nell'82 dicevano che l'Italia era catenacciara ma giocavamo con due punte (Rossi e Graziani), un trequartista (Antognoni), un'ala pura (Bruno Conti), un centrocampista che si inseriva sempre (Tardelli) e un terzino che spingeva come un matto (Cabrini). In più con un libero (Scirea) che aveva un gran tocco di palla e spesso andava in attacco (nel secondo gol contro la Germania Scirea sta nell'area avversaria a passarsi la palla con 5-6 dei nostri!).

Modificato da Cacafocu

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubr....asp?ID_blog=41

 

Bearzot l'italiano di confine

 

Non è vero che italiani come Bearzot non ne nascono più. È vero invece che nascono quasi sempre negli stessi posti: vicino a un confine.

 

Là dove dell’italianità, evidentemente, arrivano solo gli effluvi e non le pestilenze. Italiani di confine erano i piemontesi Cavour e Gobetti, il trentino De Gasperi e - per rimanere nel paradiso ristretto dei commissari tecnici campioni del mondo - l’alpino torinese Vittorio Pozzo. Dell’italiano di confine, Enzo Bearzot da Aiello del Friuli aveva tutte le caratteristiche, a cominciare dal cattivo carattere che è tipico, diceva Montanelli, di chi un carattere ce l’ha.

 

Nella patria dei vittimisti che scaricano di continuo le proprie responsabilità, lui era uno che si assumeva spesso anche quelle degli altri. Proteggeva i suoi miliardari in mutande come un papà. Ma non come un papà moderno e cioè dando loro sempre ragione. Sapeva ascoltarli, sgridarli e poi aspettarli, per mesi o per anni come con Paolo Rossi, trasmettendo sicurezza a quei cuori fragili. Nella patria dei disfattisti seppe raccogliere i cocci di un ambiente distrutto dal calcio-scommesse e trasformare le polemiche con la stampa in benzina reattiva. Nella patria dei cinici impose una sua visione romantica del calcio, senza però mai dimenticarsi che il contropiede non è una parolaccia ma l’essenza di una nazione che, dal Piave al Bernabeu, in contropiede ha vinto tutte le battaglie reali o metaforiche della sua storia.

 

Nella patria dei raccomandati lui, ex capitano e tifoso del Toro, penalizzò in Nazionale le bandiere granata a beneficio delle maglie juventine che aveva combattuto all’ultimo sangue in tanti derby. Nella patria dei gerontocrati lanciò Rossi e Cabrini a vent’anni e Bergomi a diciotto nella finale Mundial. E, quel che più conta, nella patria degli opportunisti non trasse alcun vantaggio dall’impresa spagnola che fece di lui e della sua pipa l’icona di almeno due generazione di italiani. Finita l’avventura in azzurro non gironzolò per talk show, non firmò contratti pubblicitari o di consulenza, anche quando per molti club sarebbe stato un onore potersi fregiare della sua collaborazione. Semplicemente si mise da parte, con un senso impeccabile dell’uscita di scena, senza aggrapparsi alla coda filante della gloria perché non ne aveva la nostalgia né il rimpianto. Gli era più che sufficiente serbarne il ricordo.

 

MASSIMO GRAMELLINI

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Un uomo serio. Un uomo onesto. Un uomo leale. Uno che dava e chiedeva rispetto. Un uomo sincero. Un secondo padre (per Zoff, Conti, e anche per Rossi). Un uomo di frontiera. Un uomo che credeva nell´amicizia e nel sacrificio. Un uomo di sport. Un maestro di vita. Un uomo colto. Un uomo chiuso a riccio(ma neanche tanto). Un uomo aperto (ma solo quando si fidava). Un uomo d´altri tempi, purtroppo sì, ma ancora capace di districarsi a fatica nei nostri. Un uomo in guerra contro la volgarità, il chiasso, il luccicante vuoto, le avvisaglie le aveva viste nella Milano da bere, e il resto sarebbe stato peggio.

 

Da ieri in Italia c´è un galantuomo di meno, Enzo Bearzot. E´ morto il 21 dicembre, come un altro ct, Vittorio Pozzo, che di mondiali di calcio ne aveva vinti due. Il terzo, per quelli della mia generazione, resta il più bello. Si sapeva che il vecio stava male, prima costretto alle stampelle, poi alla carrozzina, poi al letto. Si era isolato, nel male. Sua moglie Luisa faceva filtrare solo i fedelissimi. Si era isolato già prima, da pensionato felice di godersi i tre nipotini (Rodolfo, Livia, Giulia). Milano era la sua città dal 1951, da quando aveva sposato Luisa, conosciuta sul tram numero 3. Non gli piaceva più, per quel progressivo incattivirsi, per la fretta, la maleducazione in generale e del tifo in particolare. Qui gli saltava fuori un cruccio, quello di non aver fatto e detto di più contro il becerume crescente, lui che nel ´90 era stato quasi male dalla rabbia, sentendo fischiare l´inno dell´Argentina, lui che non sopportava la classica frase da tifoso: "La cosa più bella è vincere un derby su autogol al 92´". "No, la cosa più bella è vincere giocando bene e meritando di vincere". La prima casa era in via Washington 107, riconoscibile dalle scritte sul marciapiede in vernice bianca: "A morte Bearzot". Sarà stato un tifoso di Beccalossi o di Pruzzo, gli illustri non convocati, o uno dei tanti antipatizzanti che ogni notte minacciavano via telefono o citofono.

Bearzot continuava a cambiare numero di telefono, poi cambiò casa e andò in via Crivelli. Trovando la tranquillità giusto perché aveva vinto nell´82, ma quante ne aveva dovute sentire e leggere.

 

Scimmione. Bastardo. Scimpanzé. Direttore di un lebbrosario (il ritiro degli azzurri). Vittima di un cortocircuito cerebrale. Raccomandato da Fulvio Bernardini (non era vero) preoccupato che ci fosse il pane per i suoi due figli (nemmeno questa era vera, i risparmi di un´onesta carriera di operaio specializzato a centrocampo, così si definiva lui, li avevi messi a frutto). Una squadra da prendere a calci, aveva detto Matarrese, presidente di Lega. "Le due ultime partite prima dell´Argentina erano da spararsi. Ma io non potevo, doveva andare avanti". Molti, ricordando Bearzot, citano la sua capacità di parlare con l´uomo calciatore. Può averla assorbita da Rocco che del resto, da suo allenatore, lo spinse a fare lo stesso mestiere. Rocco aveva la commissione interna. Bearzot si fidava delle autocandidature. "Chi vuol marcare Zico?". "Io", disse Gentile alzando la mano. ma di quella partita-capolavoro, la vera finale dell´82, la mossa fondamentale di Bearzot riguardò Serginho. In molti ci chiedevamo perché quella squadra tecnicamente fortissima tenesse come punto (e punta) di riferimento un lungagnone sgraziato come Serginho. Bearzot si era dato la risposta: perché Serginho non andava mai in fuorigioco, dava profondità alla squadra e facilitava gli inserimenti di Socrates, Zico, Falcao, Junior. Ergo, anticipare Serginho e, riconquistato il pallone, via veloci. In anticipo giocarono benissimo prima Collovati, poi Bergomi. Ma io, come flash personale e pensando alle accuse di catenacciaro, ho un pezzetto della finale: doppio scambio nell´area tedesca tra Bergomi (dentro) e Scirea (fuori) prima dell´apertura che porta al gol Tardelli.

 

L´avesse segnato un Cruijff, quel gol, tutti avremmo suonato i violini al calcio totale degli olandesi (che Bearzot ammirava). Fatto dagli azzurri, passava per una casualità. E ancora ricordo lo sterno rientrante di Pablito, che sembrava un riformato alla leva, le corse di Conti che sembrava un raccattapalle invecchiato, e il vice-Bettega, l´attaccante di sfondamento, era Altobelli, un mucchio d´ossa. Meno colloni, coscioni, mascelloni. Più importanti i tre gol di Rossi o una sola delle parate di Zoff, quella al 90´ su incornata di Oscar? E´ difficile dire, com´è difficile raccontare oggi cosa fosse quella squadra. Forse il paragone più azzeccato l´ha fatto lo stesso Bearzot, conversando col suo amico e biografo Gigi Garanzini ("Il romanzo del vecio", Baldini & Castoldi, 1997): "Se io ascolto I´m coming Virginia, il mio pezzo preferito di Bix Beiderbeck, mi vedo davanti agli occhi una straordinaria squadra di calcio.

 

La batteria dà i tempi di fondo, un po´ come il regista che detta le cadenze del gioco, il sax può essere il fantasista, il contrabbasso è il libero, capace di difendere ma anche di offendere, la tromba è il goleador. Tu che dirigi fai in maniera che i singoli interpreti si muovano entro il filo conduttore della musica e si adattino di volta in volta al pezzo da suonare, così come alla partita da giocare. Ma sempre in funzione dell´assolo del solista, perché è quello che ti mette i brividi ed è grazie a quello che si vincono le partite".

 

Ve lo immaginate un allenatore di oggi che parte dal jazz per spiegare il suo calcio? Io no. Ma anche Brera aveva usato gli endecasillabi leopardiani per raccontare il dribbling di Pelé. E di Brera, ma ancor più di Giovanni Arpino, Bearzot era amico. "Sopporto le critiche ma non le insinuazioni e le offese. E, pur essendo cattolico, non porgo l´altra guancia". Ultimamente preferiva parlare di politica più che di calcio. "Sono rimasto, al mio bar, l´unico antiberlusconiano". E allora ti rassegni? "Un corno, allora m´impegno di più". Con orgoglio e umiltà, aveva giocato 442 gare tra A e B. Aveva iniziato contro Silvio Piola e chiuso contro Sandro Mazzola. I suoi volevano farne un medico, o almeno un veterinario, o almeno un impiegato di banca. "Ma io avevo deciso di fare il calciatore il 19 giugno del ´38 ascoltando il 4-2 del secondo mondiale nella piazza di Gradisca. Avevo capito che il calcio può dare tantissime gioie alla gente".

 

Può anche farla pensare, che non è una brutta cosa, oggi che per valore s´intende solo quello del cartellino. Tre anni fa l´ultima domanda di un´intervista a Bearzot nel giorno del suo compleanno era stata: "Come le piacerebbe essere ricordato, tra un po´ d´anni?". Risposta: "Come una persona perbene". Così si concludeva il mio pezzo, ma adesso è diverso. Adesso che mi sento un po´ più povero ma lucido, devo dirti, Enzo, che così sarai ricordato, perché non ci sono altre strade. E ti sia lieve la terra, vecio.

 

Gianni Mura

 

:(

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

l'articolo del suo biografo ufficiale...

 

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/201...l?uuid=AYiTditC

 

Il calcio ha perso il suo «Vecio»

di Gigi Garanzini

«Per fortuna in questi momenti c'è qualcuno che si occupa di noi. E se non può più distribuire salute, ti dà almeno conforto e dignità». Era una mattina d'estate, al solito caffè in zona Vigentina. Il vecio stava armeggiando tra le tasche per santificare il caffè con un cigarillo. La pipa era in archivio da anni, il fumo un vizio superato con qualche saltuaria ricaduta. Buttò là quella frase tra uno sbuffo azzurrognolo e un colpo di tosse, e non fece una piega accorgendosi che la stavo appuntando sul taccuino di pronto intervento. Anzi, dopo un silenzio più lungo del solito sogghignando mi disse che facevo bene a portarmi avanti col lavoro. E aggiunse che quel giorno non poteva essere lontano.

Il giorno è arrivato. In quella frase c'è tutta la cristiana rassegnazione con cui Enzo Bearzot ha accettato il suo destino. Sforzandosi sino all'ultimo di viverlo da cittadino del mondo, e solo negli ultimi giorni trascurando i quotidiani che donna Luisa gli portava di buonora. Ma non sforzandosi per nulla di mascherare il malumore, il disgusto per come è ridotto il paese, il vivere civile, il calcio, l'informazione sportiva e non. La voce al telefono era sempre più fioca, più lontana negli ultimi tempi.

Ma al ruggito non sapeva rinunciare, nemmeno dopo che l'asticella della bilancia era scesa sotto la soglia dei cinquanta chili. Povero vecio. Saranno stati i toni. O la suggestione. O il velo dell'amicizia. Ma sembrava davvero di riascoltare le intemerate di Pertini, o le sferzate di Montanelli. Non a caso due dei suoi giganti di riferimento.

Anche Enzo Bearzot è stato, a suo modo, un padre della patria. Era partito dal Friuli alla fine degli anni 40 alla scoperta di Milano, dopo gli anni giovanili nella Pro Gorizia. Trovandoci, il giorno dell'esordio a San Siro, una maglia nerazzurra indossata alla rovescia per l'emozione, con il numero 5 sul petto anziché sulla schiena. Ci restò per tre anni, in un pensionato di via Amedei in cui divideva la camera con veleno Lorenzi, giusto di fronte a quella più movimentata di un attore alle prime armi che si chiamava Walter Chiari. Il giorno che s'imbattè in Luisa, in corso Italia sul tram numero 3, precedette non di molto quello della cessione al Catania. Poco male. Prima il matrimonio nella chiesa di San Calimero. Poi una lunga luna di miele sul mare di Aci Trezza: e tre stagioni culminate nella prima, storica promozione del Catania in serie A.

Il ritorno al Nord coincise con il primo, vero amore calcistico. Il Torino. Capì sin dal primo giorno che quello sarebbe stato il suo approdo definitivo. Non solo ci giocò per dieci anni, gli ultimi da capitano di una serie interminabile di battaglie. Ma lì imparò il mestiere di allenatore, per espressa volontà di un maestro come Nereo Rocco. Aveva quarant'anni quando lo adocchiò Artemio Franchi, l'unico, vero dirigente di respiro e statura internazionale della storia azzurra. E iniziò così l'avventura federale, partendo dalle nazionali giovanili e dal ruolo di vice Valcareggi prima e Bernardini poi.

Dopo il granata, mai dimenticato e sempre coltivato anche nella cattiva e poi nella pessima sorte, proprio l'azzurro divenne il suo secondo e definitivo colore. L'Italia di Bearzot fece un figurone al mondiale argentino del '78 per poi trionfare a quello spagnolo dell'82. Con una squadra in cui c'era il giusto mix di campioni e di gregari: ma il cui valore aggiunto fu lo spirito di gruppo che Bearzot coltivò dal primo all'ultimo giorno, a costo di scontri feroci, a volte anche tribali, con la stampa cosiddetta specializzata. Quella che pretendeva d'imporgli Bordon al posto di Zoff, Beccalossi a quello di Conti o di Antognoni, Turone anziché Scirea, Pruzzo e non Paolo Rossi.

«La mia nazionale - raccontò in occasione dei 70 anni festeggiati nel '97 in mezzo ai suoi campioni - è nata come un'orchestra jazz, una delle grandi passioni della mia vita. La batteria che dà i tempi di fondo, un po' come il regista che detta le cadenze di gioco, il sax può essere il fantasista, il contrabbasso è il libero, capace di difendere ma anche di offendere, la tromba è il goleador. Tu che dirigi, devi fare in maniera che i singoli interpreti si muovano entro il filo conduttore della musica e si adattino di volta in volta al pezzo da suonare. Ma sempre in funzione dell'assolo del solista, perché è quello che ti mette i brividi, ed è grazie a quello che si vincono le partite».

Il suo decennio azzurro si concluse agli ottavi di Mexico '86 contro la Francia di Platini. Non cercò scuse. Si limitò a riconoscere che gli avversari erano stati più bravi. Per poi ammettere, nel tempo, che la gratitudine per i grandi di Spagna lo aveva condizionato nel rinnovamento. Da allora si è dedicato alla famiglia, rifiutando fior di proposte di club di vertice, in Italia e in Inghilterra, perché oltre il ruolo di CT per lui non si poteva andare. Con quel suo profilo azteco era davvero il prototipo dell'hombre vertical. Ma nel portamento altero non c'era traccia di alterigia. Mai negato un autografo, una dedica, una stretta di mano: al bar, per strada, sui suoi sentieri di montagna all'ombra delle cime di Lavaredo.

Persino in tram, persino negli ultimi tempi mollandomi il bastone e appoggiandosi a me mentre firmava. L'amicizia affettuosa, la confidenza totale che mi ha regalato nel suo lungo tramonto sono state un privilegio davvero raro. Che proverò a ricambiare trasmettendo ai più giovani la sua straordinaria lezione. Calcistica, umana e civile.

Addio Vecio, ti sarà lieve la terra.

 

http://video.ilsole24ore.com/SoleOnLine5/V...t/v_bearzot.php

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi Subito

Sei già registrato? Accedi da qui.

Accedi Adesso

×

Informazione Importante

Usando questo sito acconsenti ai nostri Termini D'uso. Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Utilizziamo sia cookie tecnici sia cookie di parti terze. Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.