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Ciacca pescolle

decreto salva calcio

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www.kataweb.it

Bruxelles, 01 nov 2003 - 18:00

 

 

Ue, l'Antitrust boccia il decreto salva calcio

 

Secondo l'Antitrust europeo il decreto salva calcio che permette alle società italiane di spalmare le minusvalenze in dieci anni è "incompatibile" con la normativa Ue sugli aiuti di Stato. Lo ha deciso, secondo "fonti concordanti" così citate dall'agenzia Ansa, il commissario Ue per la Concorrenza, Mario Monti. Sarebbe cioè questa la conclusione dell'analisi "preliminare" del provvedimento in base alle quali Monti proporrà l'avvio di un'indagine formale.

 

Secondo l'analisi preliminare il decreto "salva-calcio" costituisce un aiuto di Stato e si tratta dunque di un sussidio pubblico grazie al quale i club italiani beneficiano di un "doppio vantaggio economico". Il primo è la svalutazione dei contratti senza perdite nel bilancio aziendale e quindi senza ripercussioni sul capitale azionario, il secondo è di carattere fiscale.

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Ce la prendiamo nel culo anche noi grazie a Preziosi.... :(

 

Siamo ancora sotto di 5 milioncini,euro piu' euro meno....e non è vero che il terrone prima di andarsene ha risanato i bilanci...o meglio lo ha fatto a metà!

 

Comunque il calcio italiano si prenderà uno di quei calci nel culo dall'UE pauroso

Il tracollo del nostro amato sport è dietro l'angolo!

 

(chi cazzo li trova 2 miliardi di euro per risanare la voragine???)

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Faranno qualcos'altro che sia "europeista" ma che garantisca comunque questo tipo di "aiuti"... vedrai!

si parla già di spalmare a 5 e non a 10 anni...pero' siamo sempre noi italiani furbi con le pezze al culo :lol:

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posto una interessante osservazione direttamente dal "il nuovo.it"

 

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,...,191394,00.html

 

Perché tanta solerzia della Ue solo sul calcio?

 

 

di Sergio Luciano

 

Crisi-calcio, alla base la politica dei megaingaggi

Per i club, i ricavi non sono cresciuti quanto i costi

Col salva-calcio , Italia avvantaggiata rispetto a Ue

Ma l'Ue dovrebbe vigilare su ben altri squilibri

Sul calcio italiano si è abbattuto un nuovo tornado, dopo quello che aveva messo a repentaglio la partenza del campionato in corso: è il tornado dell'Unione europea, che - come ha annunciato il commissario europeo per la Concorrenza Mario Monti - ha bocciato il cosiddetto "decreto salvacalcio", emanato dal governo italiano all'inizio di quest'anno proprio per "salvare" i conti delle società calcistiche italiane.

 

Se Bruxelles andrà fino in fondo - ma va detto subito che alla fine si troverà un qualche "escamotage" per impedirlo - quasi tutti i club italiani di serie A fallirebbero. Una prospettiva del genere è chiaramente assurda, e per questo è facile prevedere una "soluzione all'italiana". Ma qual è il problema, chi ha ragione, cosa si potrebbe fare per risolverlo in maniera sana e non "all'italiana" e cosa, invece, succederà?

 

1) Le radici del problema. Tutti i guai del calcio nascono da una sorta di lucida follia che negli ultimi anni ha travolto un po' tutti i grandi club (non solo italiani, ma soprattutto italiani) che per stare al passo con la estrema concorrenza imposta da uno sport professionistico tra i più affascinanti e popolari del mondo hanno iniziato una politica di mega-ingaggi e mega-stipendi con cui hanno appesantito sempre di più i loro conti. Purtroppo per questi club, i ricavi non sono cresciuti quanto i costi, anzi: le vendite di biglietti e abbonamenti, le sponsorizzazioni, i diritti televisivi e il "merchandising" (la vendita di maglie, scarpe e altri oggetti marchiati con il nome e i colori della squadra) nel 2003 ammonteranno, per i primi cinque club italiani (Juve, Milan, Inter, Roma e Lazio) a 825 milioni di euro, 112 in più che nel 2002; i loro costi sono scesi dai 1323 milioni di euro a quota 1217, restando quindi enormemente superiori ai ricavi. Per pareggiare questa differenza, i club hanno sempre fatto ricorso all'unica soluzione possibile, vendere i calciatori migliori: ma, ahimè, negli ultimi due anni vendendo i campioni hanno spuntato prezzi alle volte inferiori a quelli pagati al momento di comprarli! Quindi anzichè pareggiare i conti li hanno peggiorati (tutti tranne la Juve). Cos'ha fatto il "decreto salvacalcio"? Ha stabilito che i costi sostenuti dai club per comprare quei campioni possono essere suddivisi in 10 annualità e portati a detrazione fiscale dai propri utili. In questo modo molti club hanno potuto evitare di metter mano alla tasca, affidandosi sulla generosità del fisco.

 

2) Torti e ragioni. E' chiaro che Bruxelles ha ragione: in questo modo i club italiani si trovano avvantaggiati rispetto a quelli stranieri, e quindi fanno "concorrenza sleale". Per risolvere il problema in maniera sana e non "all'italiana" i club dovrebbero metter mano alla tasca, ripianare le perdite e cambiare registro: economia fino all'osso, addio superstipendi, superingaggi, supercampioni. Prima o poi ci arriveranno, e comunque un po' di "moralizzazione" in quei bilanci è iniziata: ma l'equilibrio è ancora lontano.

 

3) Cosa succederà. E' difficile dirlo: ma non è verosimile pensare che di qui a due-tre mesi grandi club come Roma, Lazio, Inter o Milan o falliscano o vengano acquistati da altri "magnati" disposti a rimetterci ancora tanti soldi. Di qui la ricerca di una soluzione giuridica, propugnata dalla Lega Calcio, che annulli la presa di posizione europea. E nel frattempo di qualche ulteriore espediente legislativo, contabile o fiscale, che regali tempo a tutti.

 

Resta una piccola chiosa da fare. Tanto interventismo europeo sul calcio è comprensibile (la materia è popolare...) ma può onestamente indurre ad un empito di "benaltrismo", quell'atteggiamento di chi dice: "Ben altro dovrebbe fare..." il destinatario della critica, in questo caso appunto Bruxelles.

Siamo in un Paese - anzi in un continente - dove la liberalizzazione dei grandi settori di consumo (energia elettrica, telefonia, servizi pubblici, banche, assicurazioni) è appena iniziata, anzi - diciamolo - è risibile. Sono settori oligopolistici gestiti da inossidabili "cartelli" di aziende che tengono concordemente alti i prezzi a tutte spese di noi consumatori: si spiegano così i maxi-utili delle compagnie telefonici, delle assicurazioni, di molte banche eccetera. Su questi "cartelli" dovrebbero vigilare gli antitrust nazionali e quello europeo. Sta di fatto che la loro vigilanza se c'è, è ben poco produttiva. Ecco: l'Unione europea e il suo commissario per la concorrenza Mario Monti non avrebbero temi più importanti che non il calcio su cui esercitarsi?

 

(3 novembre 2003)

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posto una interessante osservazione direttamente dal "il nuovo.it"

 

http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,...,191394,00.html

 

Perché tanta solerzia della Ue solo sul calcio?

 

 

di Sergio Luciano

 

Crisi-calcio, alla base la politica dei megaingaggi

Per i club, i ricavi non sono cresciuti quanto i costi

Col salva-calcio , Italia avvantaggiata rispetto a Ue

Ma l'Ue dovrebbe vigilare su ben altri squilibri

Sul calcio italiano si è abbattuto un nuovo tornado, dopo quello che aveva messo a repentaglio la partenza del campionato in corso: è il tornado dell'Unione europea, che - come ha annunciato il commissario europeo per la Concorrenza Mario Monti - ha bocciato il cosiddetto "decreto salvacalcio", emanato dal governo italiano all'inizio di quest'anno proprio per "salvare" i conti delle società calcistiche italiane.

 

Se Bruxelles andrà fino in fondo - ma va detto subito che alla fine si troverà un qualche "escamotage" per impedirlo - quasi tutti i club italiani di serie A fallirebbero. Una prospettiva del genere è chiaramente assurda, e per questo è facile prevedere una "soluzione all'italiana". Ma qual è il problema, chi ha ragione, cosa si potrebbe fare per risolverlo in maniera sana e non "all'italiana" e cosa, invece, succederà?

 

1) Le radici del problema. Tutti i guai del calcio nascono da una sorta di lucida follia che negli ultimi anni ha travolto un po' tutti i grandi club (non solo italiani, ma soprattutto italiani) che per stare al passo con la estrema concorrenza imposta da uno sport professionistico tra i più affascinanti e popolari del mondo hanno iniziato una politica di mega-ingaggi e mega-stipendi con cui hanno appesantito sempre di più i loro conti. Purtroppo per questi club, i ricavi non sono cresciuti quanto i costi, anzi: le vendite di biglietti e abbonamenti, le sponsorizzazioni, i diritti televisivi e il "merchandising" (la vendita di maglie, scarpe e altri oggetti marchiati con il nome e i colori della squadra)  nel 2003 ammonteranno, per i primi cinque club italiani (Juve, Milan, Inter, Roma e Lazio) a 825 milioni di euro, 112 in più che nel 2002; i loro costi sono scesi dai 1323 milioni di euro a quota 1217, restando quindi enormemente superiori ai ricavi. Per pareggiare questa differenza, i club hanno sempre fatto ricorso all'unica soluzione possibile, vendere i calciatori migliori: ma, ahimè, negli ultimi due anni vendendo i campioni hanno spuntato prezzi alle volte inferiori a quelli pagati al momento di comprarli! Quindi anzichè pareggiare i conti li hanno peggiorati (tutti tranne la Juve). Cos'ha fatto il "decreto salvacalcio"? Ha stabilito che i costi sostenuti dai club per comprare quei campioni possono essere suddivisi in 10 annualità e portati a detrazione fiscale dai propri utili. In questo modo molti club hanno potuto evitare di metter mano alla tasca, affidandosi sulla generosità del fisco.

 

2) Torti e ragioni. E' chiaro che Bruxelles ha ragione: in questo modo i club italiani si trovano avvantaggiati rispetto a quelli stranieri, e quindi fanno "concorrenza sleale". Per risolvere il problema in maniera sana e non "all'italiana" i club dovrebbero metter mano alla tasca, ripianare le perdite e cambiare registro: economia fino all'osso, addio superstipendi,  superingaggi, supercampioni. Prima o poi ci arriveranno, e comunque un po' di "moralizzazione" in quei bilanci è iniziata: ma l'equilibrio è ancora lontano.

 

3) Cosa succederà. E' difficile dirlo: ma non è verosimile pensare che di qui a due-tre mesi grandi club come Roma, Lazio, Inter o Milan o falliscano o vengano acquistati da altri "magnati" disposti a rimetterci ancora tanti soldi. Di qui la ricerca di una soluzione giuridica, propugnata dalla Lega Calcio, che annulli la presa di posizione europea. E nel frattempo di qualche ulteriore espediente legislativo, contabile o fiscale, che regali tempo a tutti.

 

Resta una piccola chiosa da fare. Tanto interventismo europeo sul calcio è comprensibile (la materia è popolare...) ma può onestamente indurre ad un empito di "benaltrismo", quell'atteggiamento di chi dice: "Ben altro dovrebbe fare..." il destinatario della critica, in questo caso appunto Bruxelles.

Siamo in un Paese - anzi in un continente - dove la liberalizzazione dei grandi settori di consumo (energia elettrica, telefonia, servizi pubblici, banche, assicurazioni) è appena iniziata, anzi - diciamolo - è risibile. Sono settori oligopolistici gestiti da inossidabili "cartelli" di aziende che tengono concordemente alti i prezzi a tutte spese di noi consumatori: si spiegano così i maxi-utili delle compagnie telefonici, delle assicurazioni, di molte banche eccetera. Su questi "cartelli" dovrebbero vigilare gli antitrust nazionali e quello europeo. Sta di fatto che la loro vigilanza se c'è, è ben poco produttiva. Ecco: l'Unione europea e il suo commissario per la concorrenza Mario Monti non avrebbero temi più importanti che non il calcio su cui esercitarsi?

 

(3 novembre 2003)

uhm...molto,molto interessante!

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Questo articolo invece serve per capire i sotterfugi che alcuni club hanno adottato nei bilanci....e parlo in particolare della Juve, perchè me so rotto le cosiddette a sentire che MOggi &Co. sono maghi nell'amministrare una società....ma de che!!!!!

 

Dal Corriere della Sera

 

mercoledì, 29 ottobre, 2003

VARIE

Pag. 045

 

--------------------------------------------------------------------------------

 

 

Milan e Juve, le padrone del pallone

 

 

Presentati i bilanci dei due club che raggiungono giri d' affari da record. Le acrobazie per ripianare i conti

 

Malagutti Vittorio

 

 

 

MILANO - Sono forti, fortissime. Dominano alla grande in campionato e nelle coppe. Non sempre danno spettacolo, e qualche volta inciampano, ma alla fine portano a casa i risultati che contano. Insomma, Milan e Juve sono le regine del calcio continentale. Ma quando si parla di bilanci, anche i marziani del pallone tornano a tutta velocità sulla terra. E allora addio sogni di gloria, imprese memorabili e trofei da allineare in bacheca. Tutta un' altra storia, quella dei conti. Narra di perdite e acrobazie da ragioniere. Serve a poco, qui, la potenza di Sheva. E neppure l' infaticabile Nedved riesce a dare una mano. Per farla breve: il piatto piange. Anche le due squadre più titolate d' Italia, le più amate e le più seguite, faticano a sbarcare il lunario, proprio come gli altri club. Non è che il soldo non giri. Juve e Milan vincono, anzi, stravincono, e gli incassi aumentano di conseguenza. I bianconeri hanno raggiunto un giro d' affari record di 215,4 milioni di euro, il 23 per cento in più dell' esercizio precedente. E i rossoneri corrono ancora più veloci. I ricavi crescono addirittura del 28% toccando i 203 milioni di euro. Le spese però, a cominciare dagli stipendi dei calciatori, restano troppo alte. Risultato: i bilanci soffrono. Proprio ieri le due grandi rivali hanno presentato, quasi in contemporanea, i bilanci dell' esercizio chiuso al 30 giugno scorso. Quasi una sfida a distanza, questa volta sul terreno della finanza, in attesa del big match di sabato. A conti fatti, si può dire che hanno vinto i bianconeri, ma senza dare un grande spettacolo. Anzi. Il Milan, come ha spiegato l' amministratore delegato Adriano Galliani durante l' assemblea dei soci, è andato in rosso per 29,5 milioni di euro, dopo che nel dicembre scorso la Fininvest di Silvio Berlusconi era già intervenuta per ripianare una perdita di 60 milioni di euro. Non solo. La società controllata dal presidente del Consiglio ha anche sfruttato la cosiddetta legge spalmaperdite varata a febbraio dal parlamento. La Juventus invece sfoggia un bilancio in utile per 2,2 milioni di euro. Non è granché, ma con i tempi che corrono c' è poco da lamentarsi. Soprattutto perché questo risultato è stato raggiunto senza aprire il paracadute delle nuove norme sugli ammortamenti. Le stesse di cui sono giovate, oltre al Milan, anche Lazio, Roma e Inter. Tutto bene, allora? I piccoli azionisti della Juve quotata in Borsa possono brindare a champagne? Non proprio. Perché, come fanno notare gli analisti finanziari, l' utile dei bianconeri è stato agguantato all' ultimissimo minuto dei tempi regolamentari. Tutto legale, non c' è fuorigioco. A conto economico, però, le perdite sono state annullate con un' operazione straordinaria da 32,5 milioni di euro. La classica plusvalenza, insomma. Ma questa volta non è stato ceduto un calciatore. La bolla del calciomercato è scoppiata da un pezzo e così i manager della Juve hanno trovato una strada alternativa. Nel corso del 2002 il club torinese ha perfezionato l' acquisto della Campi di Vinovo spa, una società che, tra l' altro, controllava i terreni dell' omonimo ippodromo. L' acquisizione viene saldata per 16,8 milioni. Il colpo di scena, quello che di fatto finirà per salvare il bilancio, arriva il 30 giugno scorso, proprio alla scadenza dell' esercizio. Quel giorno i manager bianconeri decidono di vendere una fetta della Campi di Vinovo. Per la precisione il 27,2 per cento viene girato alla Costruzioni Generali Gilardi. Prezzo: 37,3 milioni di euro. In questo modo la Juventus ha realizzato una plusvalenza di 32,5 milioni. In altre parole, senza questa operazione, i conti juventini sarebbero andati in perdita per 30 milioni di euro. Piccolo particolare: le Costruzioni Generali Gilardi, pagano solo 2 milioni di euro. «Il saldo - recita il bilancio - sarà corrisposto entro il 30 giugno 2005». Per quella data, però, gli acquirenti hanno la facoltà di restituire al venditore quel 27,2 per cento della Campi di Vinovo a un prezzo «allineato a quello di cessione». In questo modo si chiuderebbe il cerchio. E la Juve, nel frattempo, ha potuto festeggiare il settimo bilancio in utile consecutivo. Vittorio Malagutti -29,5 MILIONI DI euro il risultato del bilancio rossonero che è andato in rosso nonostante il decreto spalma debiti 2,2 MILIONI DI euro il risultato positivo del bilancio bianconero raggiunto senza ricorrere allo spalma debiti

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Questo articolo invece serve per capire i sotterfugi che alcuni club hanno adottato nei bilanci....e parlo in particolare della Juve, perchè me so rotto le cosiddette a sentire che MOggi &Co. sono maghi nell'amministrare una società....ma de che!!!!!

va bene essere faziosi, ma mai nessuno ricorda che Roma e Lazio dovevano essere escluse dal campionato....o che Sensi paga i giocatori (Chivu) coi buoni sconto della Coop....o che la Lazio ha 130 milioni di euro di disavanzo....questo è doping amministrativo! Le piccole società non potranno mai emergere se questi drogano il mercato immettendo quantità enormi di denaro che poi in realtà non hanno in mano....citofonare Banca di Roma per informazioni. <_<

 

e poi scusa eh, ma prima di andare a criticare i bilanci della Juve leggiti questo pezzo tratto da Repubblica....

 

 

 

Senza quel decreto, chiamato salva-calcio, molti club italiani sarebbero già falliti. Ma quel decreto adesso è stato giudicato "incompatibile" con le norme Ue in materia di aiuti di Stato dall'Antitrust europeo e per le società di casa nostra in futuro potrebbero arrivare nuovi guai, guai seri.

 

Il decreto, lo ricordiamo, consente ai club italiani - solo a quelli, all'estero non esiste - di "spalmare" le minusvalenze in un arco di 10 anni. Ma ora c'è lo stop (formale) cui è giunto il commissario Ue per la Concorrenza, Mario Monti, dopo una analisi "preliminare" del provvedimento che anche in Italia era stato a lungo contestato dall'opposizione e persino dalla Lega Nord. Era passato poi con difficoltà e quasi tutti i grossi club ne avevano tratto enorme beneficio. Soltanto la Juventus e la Sampdoria ne hanno fatto a meno, ma l'Inter ha svalutato i suoi giocatori per 319 milioni di euro, il Milan per 242, la Roma per 234 , la Lazio per 213 e il Parma per 180 (stima). Senza l'aiuto del governo, i club avrebbero avuto un miliardo di euro di perdite. Già adesso moltissimi hanno una situazione economica pesantissima, cosa succederà se salterà il "salva-calcio", o, se preferite, lo spalma-debiti? Per molte società si potrebbe arrivare al rischio-fallimento.

 

I risultati dell'esame preliminare hanno spinto il commissario Ue a proporre l'apertura di un'indagine formale sul provvedimento italiano. La decisione, che secondo quanto si è appreso, sarà presa nella riunione dell'esecutivo Ue dell'11 novembre prossimo, sarà formalizzata in una lettera in cui si chiede alle autorità italiane di fornire tutte le informazioni utili a valutare il decreto. L'Italia avrà un mese di tempo per rispondere a Bruxelles. Nel corso dell'analisi preliminare, gli esperti giuridici di Monti hanno in primo luogo verificato se le misure previste dal decreto costituiscano o meno un aiuto di Stato, giungendo alla conclusione che si tratta effettivamente di un sussidio pubblico. Il secondo vantaggio, hanno riferito fonti europee, è di carattere "fiscale". Senza il decreto, le minusvalenze - solitamente deducibili dalle tasse - non potrebbero comportare sgravi al di là della durata dei contratti. Grazie al provvedimento, invece, hanno sottolineato le fonti, "è possibile prolungare il periodo nel corso del quale le perdite possono essere dedotte fiscalmente", circostanza che in alcuni casi costituisce un indubbio vantaggio economico.

 

Infine, secondo Bruxelles, le misure rischiano di aver un "effetto distorsivo" a livello comunitario in quanto molti dei club italiani, partecipando alla Champions League, operano sul mercato internazionale con la vendita di diritti televisivi, con la pubblicità e le sponsorizzazioni. Insomma, si tratterebbe di concorrenza sleale. O come lo chiama Giraudo, di doping amministrativo.

 

In futuro, se salterà lo spalma-debiti, i club non potranno più godere gli effetti di queste misure e dovranno mettere nel conto economico gli ammortamenti residui. Un guai grosso: Berlusconi e Moratti saranno costretti a trar fuori decine di milioni di euro per risanare le perdite di Milan e Inter, e anche Roma e Lazio avranno problemi seri. Il sottosgretario Mario Pescante, comunque, non è così pessimista: "E' una prima verifica, ci andrei cauto: non so in Europa quante squadre potrebbero scendere in campo". Per la verità, di questo decreto - definito da Victor Uckmar un "faso in bilancio legalizzato" - usufruiscono solo i club italiani.

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