Se è per questo, anche più de 15 anni. Con la precisazione che il 95% degli “esportati”, laureati e non (esportati naturalmente solo per non essere riusciti a conquistare il famoso posto fisso vicino casa), dopo qualche anno è tornato a casuccia sua. Non è stato difficile accorgersi, infatti, che nei paesi ricchi e avanzati dell’Occidente, nord Europa in primis, non avevano certo bisogno dei nostri preziosi cervelli italici. E così, dopo qualche anno a lavare i piatti nei pub londinesi (e dire che sognavano di fare i manager nella City...), hanno capito che se stava meglio da mamma’, senza fa’ un cazzo, col nonnetto in casa che grazie alla bona pensione e all’accompagno, regge tutta la famiglia. Per contro, i disperati di altri mondi, ex blocco sovietico in primis, capirono subito che qui c’era la ciccia, e c’hanno invaso per fare quei lavori (badanti, ma anche camionisti, braccianti, muratori ecc) che i nostri giovani, troppo impegnati a conseguire inutili pezzi de carta (o peggio, a svejasse a mezzogiorno per essere tutte le sere parte del c.d. “popolo della notte”) non hanno mai pensato minimamente di svolgere. E così da una parte sono stati drenati miliardi di valuta (questi in Italia non spendevano un cazzo, mandavano tutto ai Paesi loro), dall’altra abbiamo creato una generazione di giovani falliti nullafacenti la cui unica speranza è che non stiri li zoccoli il nonnetto. Ormai siamo un Paese senza speranza, di fatto fuori dall’europa, dove chi ha puntato sul posticino statale (l’80% degli statali è romano o meridionale) campicchia bene mentre la parte produttiva, stritolata dalle tasse, non produce più (l’unica cosa bona è che, non producendo più, prima o poi, lo prenderanno in culo pure gli statali). E così, quando arriva l’imbonitore de turno (che spesso non se sà né se i quatrini ce l’ha per davvero, né per davvero come cazzo l’ha fatti), semo tutti pronti ad annaje appresso.
“Annate a zappaaaaaa’!“... diceva poro mì nonno...